Siamo finalmente prossimi all’avvio del progetto relativo alla Formazione. Si inizierà a breve con l’affrontare il tema dell’Ecosocialismo attraverso interviste ed approfondimenti online per approdare poi ad incontri in presenza tanto nelle scuole che in quelle realtà territoriali interessate all’argomento.

Riteniamo quindi fondamentale cominciare a fornire materiali e spunti di riflessione che possano essere utili a realizzare la più ampia partecipazione.

Iniziamo con un articolo apparso lo scorso 27 ottobre su “Transform! Italia” a firma Riccardo Rifici


Nelle ultime elezioni amministrative vi è stato un proliferare di liste che si richiamavano all’ecologismo. Ciò è avvenuto nell’anno in cui si è più parlato dei temi legati all’ambiente e alla crisi climatica, l’anno in cui i giovani hanno riempito le piazze su questi temi. Ciò nonostante i risultati elettorali, per le liste ambientaliste, sono state abbastanza deludenti.

A differenza di altri paesi europei dove i verdi superano spesso la cifra del 10%, in Italia (salvo il risultato di Milano dove i Verdi arrivano al 5% grazie anche alla “sponsorizzazione” di Sala ai Verdi), le liste Verdi e quelle “ecologiste” rimangono, quando va bene, sul 2%.

Nei Verdi la questione ambientale dovrebbe far parte del patrimonio genetico e dovrebbe fornire gli elementi per una critica strutturale all’attuale modello economico in grado di permettere una forte proposta politica di cambiamento.

Ma come sappiamo questo non è avvenuto (o è avvenuto solo parzialmente) e, quella che un tempo si sarebbe definita “mancata connotazione di classe” ha portato i Verdi dei vari paesi europei, ad appoggiare governi di diverso colore politico, talvolta anche di destra, e, nel caso italiano, ad essere assolutamente ininfluenti sul quadro politico.

Ma ciò che appare preoccupante è la non piena acquisizione dell’ecologismo nelle formazioni della sinistra. In queste, la questione ambientale è, se pur considerata importante, una questione fra le altre (lavoro, diritti sociali, ecc.), non ne caratterizza l’identità politica e non ne condiziona, in modo trasversale, le analisi e le iniziative politiche. Ciò vale sia per le formazioni che si sono collocate nel cosiddetto “campo lungo del centro sinistra”, sia per quelle che se ne sono collocate fuori.

Non si comprende come, oltre ad essere un problema non rimandabile, la questione ambientale sia diventata, da un lato, anche una chiave di lettura per comprendere incombenti strategie di ristrutturazione capitalistica che, attraverso la transizione digitale e l’occasione della green economy, si appresta a modificare l’organizzazione del lavoro, la distribuzione delle merci e le modalità di controllo sociale. Ciò, naturalmente a spese delle classi e dei popoli più deboli, peraltro senza risolvere realmente i problemi ambientali che abbiamo d fronte.

Ma, dall’altro lato, non si coglie il fatto che la questione ambientale è anche una strada per ricostruire una identità di sinistra in grado di riconnettere temi che talvolta si sono presentati in modo contraddittorio, (vedi temi del lavoro e delle industrie inquinanti), una identità che permetterebbe di ricostruire una strategia e una tattica per il cambiamento dell’attuale modello economico sociale, mettendo insieme molti temi, quali: la cura del territorio e dell’ambiente, la
sanità pubblica, il lavoro, il modello di consumi, la ricerca scientifica, sino ad arrivare a questioni riguardanti il come e il cosa produrre.

Al proposito potrebbe essere utile riflettere su importanti esperienze passate dell’ambientalismo italiano.

Quando nei primi anni ’70 frequentavo l’Itis Molinari (un istituto tecnico per chimici di Milano molto caratterizzato politicamente), nell’ambito di una parte di didattica alternativa, si tenne un gruppo di studio in collegamento alle iniziative del “Gruppo di Prevenzione ed Igiene Ambientale del Consiglio di Fabbrica” della Montedison di Castellanza (VA). Questo collettivo grazie all’impegno di persone come Giulio Maccacaro e Luigi Mara fu promotore di lotte che volevano cambiare il modo di produrre e ricercare, mettendo al centro la prevenzione. Grazie a queste lotte, Castellanza diventò uno dei punti di riferimento, a livello nazionale, nel campo della tutela della salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro e sul territorio. Da quelle lotte nacquero esperienze come “Medicina Democratica” o come la rivista “Sapere” che alla fine degli anni ’70, con la pubblicazione di una rigorosa indagine, smascherò le responsabilità della Hoffman-La Roche nella catastrofe ambientale causata dalla fuoriuscita di diossina a Seveso.

È certamente da esperienze come quella che nacque uno dei filoni più importanti dell’ambientalismo italiano. Filone che si confrontò con l’altro, quello di origini più aristocratiche/ culturali come Italia Nostra da una parte e il Club di Roma dall’altra che nel ’72 pubblica il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” o come quello dei movimenti nati contro il nucleare.

Forse è proprio dalle esperienze come quella della rivista Sapere e della Montedison di Castellanza che varrebbe la pena di riprendere ed approfondire la riflessione.

Quello era un modo di affrontare in modo integrato i temi dell’ambiente, del lavoro e della salute. Un approccio che connetteva le lotte operaie per la salute nei luoghi di lavoro e sul territorio alle questioni ambientali generali; un approccio che cominciava a connettere i temi dell’ecologia alla critica al modello produttivo e a porsi domande su cosa produrre e come. L’integrazione raggiungeva in alcuni casi livelli ancora più alti di quelli relativi a singoli temi affrontati, perché riusciva ad integrare le diverse soggettività presenti sul territorio (lavoratori, cittadini, medici di
base, strutture sanitarie territoriali, mondo della ricerca).

Ma quelle importati esperienze non sono riuscite, almeno sino ad ora, ad incidere sulla identità e sulla impostazione culturale e strategica delle forze politiche della sinistra e del sindacato. Come accennavo all’inizio la questione ambientale è rimasta una questione a sé, non è divenuta una questione strutturale su cui impostare le azioni per analizzare e contrastare i processi in corso, di ristrutturazione e riorganizzazione del capitale e per costruire una proposta di diverso modello economico e sociale.

Infine vale la pena di sottolineare un altro aspetto non secondario. Oggi, molto più che degli anni ’70, i conflitti per il controllo delle risorse sono diventate, a causa della crisi ambientale, certamente più devastanti. Ai conflitti per il controllo del petrolio o delle risorse minerarie, si sono aggiunti o hanno aumentato di intensità quelli per altre risorse naturali come l’acqua o i terreni fertili. Conflitti che hanno avuto come conseguenza l’aumento della povertà, il peggioramento delle condizioni sociali e l’aumento dei fenomeni migratori.

Insomma ricostruire una identità ECO-SOCIALISTA, serve anche a rinsaldare la cultura INTERNAZIONALISTA che deve caratterizzare la Sinistra.


fonte Transform! Italia

Un pensiero su “Ecosocialismo e sinistra”
  1. La diffusione, anzi la vera e propria creazione, del pensiero “ecosocialista” è di fondamentale importanza. Si tratta di temi in cui tutto si lega, lo sfruttamento delle risorse è correlato con lo sfruttamento delle popolazioni, con le tensioni internazionali e i venti di guerra. La politica economica dello sfruttamento delle popolazioni si correla con le delocalizzazioni delle attività produttive, ecc. E’ un mondo complesso, solo con un approccio multidisciplinare si riesce a manovrarlo. Il fatto è che questo è stato compreso benissimo dai neoliberisti ma noi siamo rimasti al palo e il pensiero di alcuni “nostri” pensatori resta senza gambe e senza braccia per diventare motore di lotta e cambiamento. Per questo passano per “politiche verdi” operazioni di puro “green washing”

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