L’inganno delle tariffe corrispettive

Avvertenza, in una serie di scritti noiosi, questo sarà particolarmente tedioso. Ciononostante, vi chiedo di leggerlo, se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, perché è una parte importante del discorso che ho cercato di fare.

“TINSTAAFL – There ain’t no such thing as a free lunch” (Robert Anson Heinlein)

Non esistono pranzi gratis

Ma come, vi chiederete, un comunista che inizia uno scritto con il titolo del libro di un economista reazionario come Milton Friedman?

A parte che Heinlein usò la frase in un romanzo del 1966 (La luna è una severa maestra, conservatore e anarcoide ma magnifico) e il libro di Friedman è di nove anni dopo (poi Heinlein mi è un molto più simpatico di Friedman), nessun marxista sosterrà l’esistenza di pranzi gratis. Il marxista si batterà perché il costo del pranzo sia pagato da chi, fino ad oggi, ha sfruttato gli altri per ottenere molto più del solo pranzo. Questo ancor più oggi che siamo consapevoli della scarsità delle risorse del pianeta, anche dell’aria che respiriamo.

A questo punto inorridiranno i Keynesiani: «non tieni conto dell’effetto moltiplicatore, la concezione di Friedman è falsa e contraddetta da evidenze empiriche, proprio tu che hai studiato in una facoltà profondamente Keynesiana, ecc.»

Questi lettori, ammesso che qualcuno abbia resistito fino a questa puntata del mio contributo, hanno più di qualche ragione ma dimenticano che l’effetto moltiplicatore keynesiano opera al meglio in un sistema economico “aperto”, di un mercato in cui sia possibile l’espansione, non in un sistema “chiuso” in cui fornitore e mercato sono sostanzialmente predeterminati e con condizioni date quasi inamovibili che sono determinate da decisori su cui gli attori hanno poca o punto influenza.

In questo caso si tratta solo di distribuire i costi e i costi tendono naturalmente a crescere con marginali miglioramenti di produttività ed efficienza.

Ma questa è accademia, la frase iniziale è funzionale al discorso che affronterò in questa puntata e, soprattutto, rende bene l’idea.

Ancora, cosa c’entra questo con i servizi che verranno privatizzati?

È ovvio che questi servizi hanno un costo, è ovvio che qualcuno questo costo debba pagarlo.

Una delle involuzioni che ha subito tutto il sistema dei servizi pubblici a carattere industriale o di rilevanza economica è stata l’introduzione generalizzata delle tariffe a carattere corrispettivo o, comunque, di prelievi proporzionati alla fruizione del servizio (si parla in questo caso di “tariffa sinallagmatica” cioè, semplificando, tanto consumi tanto paghi).

Il giudizio sul fatto che sia una involuzione potrà sembrare controintuitivo ma è giustificato, dal mio punto di vista, dalla struttura stessa dei sistemi con cui vengono costruite, in generale, queste tariffe o prelievi.

Tutti questi prelievi (siano in forma di tributo o tariffa, tralascio di descrivere la differenza perché non stiamo facendo un corso di Scienza delle finanze) da qualche anno hanno in comune molti aspetti:

  1. esiste un qualche genere di misurazione (un contatore di qualche tipo);
  2. esiste un Piano Economico Finanziario che raccoglie tutti i costi, diretti, indiretti e finanziari;
  3. tutti i piani prevedono una specifica quota di costo che serve a “remunerare il costo del capitale investito”;
  4. i prelievi sono calcolati secondo il metodo del “price cap” che, teoricamente, dovrebbe favorire gli utenti in quanto fissa un limite ai prezzi dei servizi ma ha anche il fondamento teorico di “simulare gli effetti positivi del mercato in un sistema di prezzi amministrati”;
  5. tutti i piani prevedono la copertura integrale con il prelievo e il divieto di intervento pubblico con fondi di bilancio degli enti;
  6. tutti i costi relativi al servizio sono inseriti nel piano finanziario (dalle spese correnti ai costi da investimento e miglioramento del servizio).

Detto così appare una cosa meravigliosa: finalmente ciascuno paga secondo il consumo, quale equità! (in altri scritti, su riviste del settore, ho paragonato questa ubriacatura al “coraggioso nuovo mondo” di Huxley e il paragone mi sembra ancora molto azzeccato perché anche il mondo di Huxley è all’apparenza il migliore dei mondi possibili ma in realtà è un inferno).

Come al solito il diavolo si nasconde nei dettagli.

Esaminiamo un servizio che conosco bene ed a cui nessun cittadino può sottrarsi: il servizio di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani.

Da molti anni, in questo servizio vige, come un mantra, il principio della Comunità Europea “chi inquina paga”.

A prescindere dal fatto che, sempre in prospettiva sinallagmatica, questo significa che chi paga può inquinare, il principio è anche arduo da attuare in concreto ed in misura puntuale.

In questo servizio è abbastanza difficile stabilire un “contatore” efficiente e oggettivo.

Intuitivamente potremmo pensare alla “pesatura” dei rifiuti conferiti ma questo metodo ha alcune controindicazioni,

  1. è costoso (sia che la pesatura avvenga tramite personale sia si adottino sistemi automatizzati) e quasi sempre deve essere legato a forme di raccolta porta a porta certamente organizzabili anche nelle realtà metropolitane ma con discreti sforzi e aumento del personale;
  2. richiede un sistema di differenziazione molto spinto (e che la cittadinanza lo rispetti scrupolosamente), perché i costi sono sostanzialmente diversi se io conferisco un kilogrammo di vetro, un kilogrammo di plastica (in cui, addirittura, potremmo ricavare qualcosa) o un kilogrammo di rifiuto umido (il cui trattamento è molto costoso e finisce sostanzialmente in discarica o incenerimento perché i biocompostatori non sono il massimo dell’efficienza e il concime che ne esce è pochissimo richiesto dagli agricoltori professionali);
  3. non tiene conto del fatto che molti costi sono più legati al volume degli scarti che al loro peso;
  4. in caso di morosità è impossibile “sospendere il servizio” cioè non si può vietare a nessuno di conferire i rifiuti prodotti (l’elettricità possono staccarmela, l’acqua potabile ridurla allo stretto necessario, ecc.) e non sarebbe neppure desiderabile e opportuno perché il “free rider” troverebbe il sistema per abbandonare i rifiuti in mezzo alla strada (per inciso questo è anche il motivo per cui non ritengo che sia opportuna una esatta corrispondenza tra i rifiuti prodotti e il pagamento del prelievo) (https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_del_free_rider).

Altre controindicazioni possono elencarsi ma, sostanzialmente, il problema delle tariffe sinallagmatiche non è il problema del “contatore” quanto un problema politico e, sostanzialmente, di politica fiscale sulla creazione del sistema dei Piani Finanziari.

Infatti, tornando all’esempio del servizio rifiuti, nei costi da coprirsi con il prelievo sono sempre inseriti, in una logica privatistica, i costi degli investimenti per il miglioramento del servizio e delle tecnologie che consentano una migliore politica ambientale (riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata spinta, sistemi di trattamento più efficienti, raggiungimento degli obiettivi di recupero, anche energetico, ecc.) ed una quota di utili da trarre dal servizio (sostanzialmente i costi d’uso del capitale e il tasso della sua remunerazione).

Ora, questi sono obiettivi che non riguardano solo i fruitori del servizio ma tutta la nazione, anzi tutto il mondo dato che il clima e i danni ambientali non conoscono confini.

Rispondono quindi, a obiettivi strategici, obiettivi che ci riguardano a prescindere dai rifiuti conferiti.

Faccio un esempio personale: abitando in campagna, io conferisco pochissimi rifiuti umidi perché, dopo attenta, quasi maniacale, selezione, molti rifiuti vanno ad ingrassare gli animali dei vicini (bucce di frutta e scarti di verdure, pane secco), altri vanno ad ingrassare la terra (fondi del caffè, bucce di frutta non commestibili, ecc.). Gli unici rifiuti umidi che conferisco sono, praticamente, i residui delle poche proteine che un single quasi vegetariano può produrre.

Eppure, io non posso dirmi disinteressato alla realizzazione di sistemi di raccolta dell’umido efficaci ed efficienti che riducano l’impatto ambientale di questo tipo di rifiuto. Non solo perché, per ragioni professionali e politiche, sento il problema (questa è consapevolezza non interesse sostanziale) ma perché da questa attenta gestione può dipendere la mia salute (rammentate la crisi dei rifiuti nel napoletano qualche anno fa’? non sappiamo ancora quante conseguenze di quella crisi graveranno, negli anni futuri, sulla salute degli abitanti di quelle zone ma è quasi certo che conseguenze ce ne saranno).

Accertato, quindi che la corretta gestione della filiera dei rifiuti è un interesse generalizzato perché gli investimenti strategici di interesse collettivo debbono essere coperti solo con il contributo degli utenti?

Potreste dire: ma tanto la tassa o la tariffa rifiuti la paghiamo tutti, quindi tutti contribuiscono.

Devo chiarire che esistono tipologie di utenza che sono esonerate dal conferire i rifiuti prodotti nel sistema dei rifiuti urbani, semplificando molto queste sono le industrie e quelle attività economiche che, producendo molti rifiuti (super e ipermercati, grossisti, ecc.), trovano più conveniente utilizzare sistemi privati di raccolta e smaltimento (possibilità preclusa ai cittadini, per legge, ed alle attività economiche minori per ragioni di mercato). E queste tipologie non pagano o pagano solo in parte il prelievo per il servizio.

Quindi l’osservazione si basa su un dato falso perché esistono categorie di cittadini o aziende che non pagano.

Ma quella obiezione ipotetica è, comunque, superficiale.

Uno dei principi costituzionali più inapplicati nella storia della repubblica è quello contenuto nell’Articolo 53 della Carta: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Senza voler aprire un nuovo inciso di diritto costituzionale (ammesso di averne le competenze), l’Art. 53 ci dice che le spese pubbliche debbono essere pagate da tutti (e qui si aprirebbe una discussione infinita sull’evasione), proporzionalmente alla capacità contributiva di ciascuno (cioè ai redditi ma non esclude i patrimoni ne le entrate diverse, anche solo potenziali, o una parametrazione comunque proporzionale ad una ricchezza) e che “il sistema tributario” è progressivo cioè tanto più è alta la ricchezza (come appena definita) tanto più è alta la percentuale di questa ricchezza che il cittadino deve versare.

La progressività dell’imposizione fiscale fa, quindi, si che (in termini generali) chi ha di più paghi di più, non solo in termini proporzionali, ma con una quota maggiore dei suoi redditi o delle sue ricchezze.

Questa impostazione è tipica dei sistemi fiscali moderni e progressisti e contribuisce in maniera preponderante al sistema mutualistico e di ridistribuzione della ricchezza dall’alto verso il basso di una democrazia progressiva (anche se oggi gode di pessima stampa, vedi la richiesta sempre più insistente di abbandono dei sistemi progressivi in favore della flat tax, che oggi vige in pochissimi paesi, non dei più avanzati).

Ora se noi sottraiamo gli investimenti “strategici” (ambientali, sanitari, di sicurezza, ecc.) al bilancio dello Stato (e delle Regioni, delle Città metropolitane, dei Comuni, ecc.) ed i loro costi li facciamo coprire con una tariffa corrispettiva (del tipo tanto inquini, tanto paghi) significa che quelle spese non verranno più coperte in maniera progressiva dai cittadini (quindi i più ricchi non pagheranno di più per spese di interesse collettivo) ma saranno solo proporzionali al consumo dei servizi fruiti.

Questo è ingiusto e fa sì che chi ha meno non solo paghi quanto chi ha di più ma che sia addirittura svantaggiato.

Oltre al servizio rifiuti esistono molte situazioni in cui la spesa per interessi collettivi, connaturati all’esistenza stessa dello Stato, sono stati coperti con tariffe corrispettive, quindi sottraendoli al principio di progressività.

Il caso più eclatante è quello del sistema degli incentivi per le energie rinnovabili.

È, oramai, sotto gli occhi di tutti (tranne pochi negazionisti, assimilabili ai miei occhi ai no-vax) che le crisi climatiche non conoscono confini e che rischiano di arrivare presto al punto di non ritorno (che per certi aspetti è già stato superato).

In questo caso non possiamo neanche parlare di un interesse comunitario perché qui il rischio è globale. Eppure, gli investimenti in questo ambito sono stati per molti anni posti a carico delle utenze, dribblando elegantemente il principio di progressività.

Anzi, visto che, da alcuni studi econometrici risalenti ai tempi della mia lontana e poco proficua università (quindi ben consolidati), i consumi per alcuni beni e servizi hanno una risposta fortemente anelastica all’aumentare della disponibilità economica (cioè non crescono di pari passo con i redditi disponibili per il singolo, anzi in alcuni casi dopo una certa soglia di reddito si stabilizzano quando non scendono), ci saranno casi in cui interessi collettivi sono pagati, pro capite, più dalla frazione più povera della popolazione che da quella più ricca.

Per tornare all’esempio utilizzato fino ad ora, le quantità di rifiuti prodotti e conferiti, alla fine della giostra, da ciascuna persona, non crescono oltre una certa soglia a prescindere dalla ricchezza.

Secondo un saggio breve del Laboratorio REF ricerche (Position Paper n. 189 del 23 settembre 2021, link in calce come al solito) il punto di massima produzione di rifiuti urbani si registra in corrispondenza di un reddito pro capite di circa 23.000 euro annui lordi (a cui si associano 514 kg di rifiuti annui), oltre quella soglia non solo la quantità di rifiuti non cresce ma inizia a diminuire, e neanche lentamente.

È evidente che se gli investimenti di carattere ed interesse generale (ad esempio nuove forme di trattamento dei rifiuti che consentano un riutilizzo più salubre e salutare) vengono appostati su una tariffa legata alla quantità di rifiuti, chi ha un reddito oltre quella soglia inizierà a contribuire come chi sta sotto quel reddito.

E questo meccanismo corrispettivo, già consolidato da anni nella distribuzione dell’acqua e dell’energia, si sta estendendo in tutti i servizi privatizzati, con buona pace della volontà dei padri costituenti.

Buon “TINSTAAFL” a tutti

Laboratorio REF ricerche (Position Paper n. 189 del 23 settembre 2021) – link al PDF, occorre registrarsi ma la registrazione è libera e gratuita

Di Roberto Del Fiacco

Libero professionista, consulente tributario, esperto nell'economia dei servizi comunali di raccolta rifiuti. Si illude di essere ancora iscritto al Partito Comunista Italiano e alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (quelli veri). E' nato e morirà comunista

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *