Che fare?

«Se non si ripete, il titolo non vale nulla. Anzi è meglio levarlo. Che fare? Bisogna ripeterlo in ogni articolo. Ci han tolta l’acqua, che fare? Capite? Il prete si rifiuta di seppellire i nostri morti, che fare?’ In nome della legge violano le nostre donne, che fare? Don Circostanza è una carogna, che fare?» Allora tutti capimmo l’idea di Scarpone e fummo d’accordo con lui. (Ignazio Silone, Fontamara)

Chi scrive non è certo Lenin, e neppure Černyševskij, al massimo (anche per ragioni ancestrali) posso aspirare alla disperata solidità dei contadini di Fontamara.

Eppure, un tentativo di risposta al “Che fare” occorrerà pure darlo da parte di una associazione che ha come scopo fondativo quello di tentare di dare gambe a nuovi pensieri per la sinistra.

Il comunismo è il governo sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese”, dietro lo slogan di Lenin c’era una consapevolezza profonda che solo l’accesso di tutti a servizi moderni poteva completare la repubblica dei consigli.

Quello slogan appare oggi un miraggio, non solo perché l’Unione Sovietica è finita nella storia di una sconfitta, non solo perché in buona parte del mondo è impensabile anche l’accesso a beni vitali come l’acqua potabile, ma anche perché nel nostro mondo, nella nostra Europa, questi servizi si avviano verso una mercificazione che ci viene presentata come naturale e inevitabile.

Eppure, quello che si dovrebbe fare non ha nulla di straordinario e non è detto che debba essere considerato particolarmente rivoluzionario.

Sarebbe sufficiente, se non espellere, rendere marginale il concetto stesso di “utile” e “dividendo” nella gestione dei servizi pubblici.

Come dicevamo in conclusione del primo intervento sul blog, questi servizi debbono essere considerati “servizi di benessere generale e ambientale”.

Cioè la pratica dovrebbe tornare ad essere quella in cui prima si fissano i livelli di servizio pubblico necessario per fornire ai cittadini eguali opportunità di vita, realizzazione personale e “pieno sviluppo della persona umana”, poi si costruisce il Piano Finanziario, poi si trovano le risorse per finanziarlo, in un processo iterativo (i costi non possono essere considerati una variabile indipendente ma non sono neppure l’ostacolo insormontabile alla fruizione del servizio). Se nel corso della gestione si ricavano utili, questi vanno reinvestiti in qualità del servizio, riduzione delle tariffe, aumento dei perimetri di servizio, ecc.

Poi saranno gli Enti titolari dei servizi, ferma la potestà regolatoria di accesso in mano pubblica e secondo la Costituzione che delinea precise aree di responsabilità, a decidere se il modello di gestione migliore sia quella diretta, la costituzione di aziende di scopo, la concessione o l’appalto a privati. Infine il giudizio sarà dei cittadini sia attraverso forme di controllo diffuse, sia nel segreto delle urne elettorali.

I servizi, quando un Ente non ha un sufficiente numero di utenti potenziali, saranno svolti con forme di collaborazione, anche obbligatoria, tra gli stessi, in maniera da creare economie di scala, sfruttando un principio di solidarietà tra cittadini, per cui non si attribuiranno ai singoli utenti i costi puntuali del servizio ma un costo unitario per tutto il territorio sovracomunale servito (e non come attualmente è previsto con una parcellizzazione delle tariffe fra i vari territori di uno stesso ente o consorzio).

Infine, i costi per gli obiettivi che interessano a fini strategici i territori, le regioni, la nazione non dovranno più essere posti a carico del singolo cittadino consumatore ma dovranno essere supportati dai bilanci pubblici proprio perché interessanti tutta la collettività debbono rispondere ai criteri costituzionali di proporzionalità e progressività nella partecipazione alle spese.

Fare sopportare i costi degli impianti per le energie rinnovabili ai soli clienti dei distributori dell’energia elettrica e per giunta sulla base dei consumi della materia energia rappresenta un pervertimento della volontà dei costituenti, un impoverimento delle classi economicamente più deboli, un trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto della piramide dei redditi.

Finanziare nuove tecnologie con i Piani Finanziari dei servizi pubblici significa, anche qui, far pagare ai più deboli scelte che, spesso, vanno in favore delle sole aziende.

Infine,

  • la scelta di imporre un modello di gestione come preferenziale significa mortificare la volontà dei cittadini,
  • sottrarre la regolazione delle tariffe e dei servizi alle assemblee elettive per farne una mera questione tecnica da affidare ad autorità amministrative indipendenti che, spesso, debordano anche dai poteri costituzionali, significa violare uno di quei principi cardine della democrazia (no taxation without representation, niente tasse senza rappresentanza) acquisiti sin dalla rivoluzione americana.

Occorre pianificare, con un processo che coinvolga i territori (non abbiamo bisogno di nuove Val di Susa), ogni intervento; occorre un Piano Energetico, un Piano Rifiuti, un Piano Trasporti, un Piano Orari, o meglio abbiamo bisogno di tanti piani per ciascun servizio e per ciascun territorio.

Dobbiamo incentivare, siamo in tema, l’autosufficienza energetica dei Comuni più piccoli, dobbiamo fare in maniera che la raccolta differenziata sia uniforme sul territorio nazionale, che il ricorso alle discariche risulti assolutamente residuale, che tutti abbiano accesso ad un trasporto pubblico locale che superi le differenze di classe senza inquinare, dobbiamo portare acqua in tutte le case senza sprecarne neanche una goccia, dobbiamo smettere di sperperare risorse idriche, dobbiamo dare acqua di buona qualità e senza arsenico o inquinanti.

Dobbiamo fissare degli obiettivi, dobbiamo parlarne con i municipi, i comuni, le comunità e dobbiamo così riuscire a superare la logica NIMBY (non in my back yard, non nel mio cortile).

Dobbiamo trovare spazi di collaborazione con le sinistre ambientaliste europee, dobbiamo creare un euro-ecosocialismo.

In questo momento la proposta di Legge delega contenuta nell’annuale ddl concorrenza mi sembra andare in una direzione assolutamente contraria, replicando gli errori già fatti nelle fallimentari privatizzazioni della fine del ‘900 e degli inizi del nuovo millennio.

Subito, e soprattutto, dato che questo sarà un lavoro di lunghissima lena, dobbiamo attrezzarci per contrastare la norma che si sta formando, probabilmente con un referendum e replicare quanto facemmo oltre dieci anni fa.

Meglio, dobbiamo e possiamo, le professionalità non mancano e lo studio non ci spaventa, costruire (sull’esempio illuminante del Collettivo GKN) una proposta di Legge popolare che metta la delega in un angolo della storia perché di privatizzazioni ce ne sono state troppe e nessuna ha raggiunto gli obiettivi che la propaganda dei liberisti, mercatisti e ideologi vari aveva promesso.

Dobbiamo trovarne le forze, anche se siamo pochi, sfiduciati, divisi e più vecchi di due lustri.

Per citare una storia a me, a noi, cara: “Al lavoro e alla lotta”.

Foto di Jonas KIM – Pixabay

Di Roberto Del Fiacco

Libero professionista, consulente tributario, esperto nell'economia dei servizi comunali di raccolta rifiuti. Si illude di essere ancora iscritto al Partito Comunista Italiano e alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (quelli veri). E' nato e morirà comunista

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