Ancor più drastico è il giudizio dell’ammiraglio Leahy sulla superfluità della bomba atomica: <<L’impiego di questa barbara arma a Hiroshima e Nagasaki non ci fu di alcun concreto aiuto nella guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi a causa dell’efficacia del blocco navale e dei bombardamenti con armi convenzionali>>.
Perché, allora, la bomba fu impiegata? C’erano altri impellenti motivi dietro l’istintivo desiderio di far cessare quanto prima le perdite di vite americane e inglesi? Due ragioni, in realtà, sono venute alla luce. Una è rivelata dallo stesso Churchill nel resoconto del colloquio da lui avuto con Truman il 18 luglio, dopo la notizia del successo dell’esperimento atomico e dei pensieri che subito vennero alla loro mente. Dice tra l’altro Churchill: … non avremmo avuto bisogno dei russi. La fine della guerra giapponese non dipendeva più dall’immissione delle loro armate… no non avevamo bisogno di chieder loro favori. Pochi giorni dopo mandai a Eden questo promemoria: <<E’ chiarissimo che gli Stati Uniti non desiderano attualmente una partecipazione russa alla guerra contro il Giappone>>( W. Churchill, la Seconda guerra mondiale, Vol. Vi, p. 719)…
La seconda ragione del precipitoso impiego della bomba a Hiroshima e a Nagasaki fu rivelata dall’ammiraglio Leahy: <<Gli scienziati e altri volevano fare questa prova perché alla realizzazione della bomba erano state devolute somme immense: 2 miliardi di dollari>> … A una generazione di distanza, però, è anche troppo chiaro che l’avventato lancio della bomba atomica non è stato un sollievo per il resto dell’umanità… Questa resa era già sicura, e non vi sarebbe stato alcun effettivo bisogno di usare un’arma sotto la cui ombra minacciosa il mondo vive tuttora. (B.H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda guerra mondiale, Oscar Mondadori, ristampa 2004, pag. 972 e segg.)”

La più grande vittoria è quella che non richiede alcuna battaglia (Sun Tzu)

Sono stufo di vecchi che progettano guerre in cui mandano a morire i giovani (George McGovern)

Scrivo queste righe, cercando di evitare la mia solita prolissità, nei giorni in cui ricorre l’ottantesimo anniversario del primo (e speriamo unico) utilizzo dell’arma atomica durante una guerra. Il sei e il nove agosto del 1945 le città di Hiroshima e Nagasaki vennero distrutte da due bombe atomiche sganciate dall’aeronautica americana.

La vulgata vuole che questo abbia reso possibile la fine della seconda guerra mondiale nel teatro del pacifico minimizzando le perdite tra le truppe alleate (si fa sempre l’esempio dei soldati giapponesi nella giungla, che rifiutarono per decenni di arrendersi agli americani, per ipotizzare una strenua difesa del territorio metropolitano nipponico).

In realtà, gli storici militari sostengono che, al massimo, la carneficina di civili operata nelle due città giapponesi accelerò la resa, ma ebbe un costo umano insostenibile. Questa è la tesi sostenuta da Liddell Hart (1) nella monumentale “Storia militare della seconda guerra mondiale” che viene ampiamente citata in apertura di questo scritto.

In particolare, la seconda motivazione reale per l’uso della bomba atomica mi spaventa e mi fa pensare, in questi mesi in cui si parla insistentemente di riarmo europeo: la bomba atomica doveva essere usata semplicemente perché era costata una montagna di soldi.

Mi sembra evidente che il riarmo europeo, probabilmente pensato come piano di rilancio dell’economia (e ci sarebbe anche da discutere sulla efficacia del moltiplicatore in questo ambito) e non come piano militare (ognuno dei paesi coinvolti investirà come vuole le linee di credito usate e quindi mancherà ancora qualsiasi ipotesi di coordinamento europeo della difesa) potrà avere successo solo se, più prima che poi, queste armi verranno usate in Europa o altrove, e quindi si innescherà un circolo di uso-rinnovo degli arsenali-uso, che ai capitalisti coinvolti apparirà persino virtuoso.

La chiave di lettura deve individuarsi nella sconvolgente eterogenesi dei fini dell’uso della bomba atomica (e di tutti gli armamenti): questa non viene usata perché indispensabile allo sforzo bellico, viene usata perché è costata troppo. Una eterogenesi volontaria e non casuale, come prevede il concetto originale di chi ha usato questa espressione per primo(2).

Altro esempio lampante di questa che possiamo chiamare “eterogenesi volontaria dei fini” la vediamo all’opera nel massacro di Gaza (non uso il termine genocidio non perché non lo pensi -lo è- ma solo perché le parole, pure importanti, sono comunque parole, su massacro penso possiamo concordare tutti, tranne i prezzolati o gli ingannati dall’Hasbara).

Qui abbiamo un “quasi-dittatore” in Israele (“quasi-dittatore” non tanto perché è eletto ma perché deve contrattare tutti i giorni con i settori più estremi della sua maggioranza la sopravvivenza del governo) che continua una guerra(3) con i soli scopi di rinviare il redde rationem con la magistratura del suo paese (per motivi di corruzione non già per chissà quale persecuzione politica) e far dimenticare lo straordinario fallimento di un apparato di sorveglianza, altrimenti efficiente e determinato, registrato con il sanguinario massacro del 7 ottobre del 2023 ad opera di Hamas.

Chiarisco subito il mio pensiero: a Netanyahu della religione ebraica, del lascito di Dio al popolo eletto, frega nulla (un po’ come a Mussolini fregava del cattolicesimo o, si parva licet, come a Salvini frega del rosario che sfoggiava qualche anno fa). Per Netanyahu “Eretz Yisrael ” (Grande Israele) è una espressione politica suprematista non un luogo sacro, come per Deniella Weiss. È il modo di assicurarsi per sempre i voti degli invasati seguaci di quest’ultima che occupano illegalmente la Cisgiordania perseguitandone, impuniti, gli abitanti originari.

L’unica cosa che interessa Netanyahu è la sopravvivenza personale e politica, poter perpetuare vita natural durante il suo ruolo di garante del sistema industrial-militare di Israele e quindi il proprio potere personale. E Netanyahu è un vecchio, parecchio più di me, pure appartenendo alla medesima generazione anagrafica, quella dei Baby Boomer, ecco perché la citazione di McGovern.

Questa vera e propria frode intellettuale è stata causa della morte di oltre sessantamila esseri umani(44) la quasi totalità non combattenti e almeno un terzo minori (padri, mogli e figli di terroristi secondo l’Hasbara, quindi colpevoli ai loco occhi).

Oggi sembra chiaro, guardando le foto di Gaza, che alle scelte di Israele si adatta perfettamente l’invettiva di Tacito, “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (dove fanno il deserto, lo chiamano pace).

Come pensi Israele di sopravvivere nel lungo periodo, i prossimi decenni diciamo, alla crescente avversione, se non odio, che provano le opinioni pubbliche del mondo, mi risulta incomprensibile. Anche nei paesi vicini meno ostili alle sue politiche la gran parte dell’opinione pubblica (quando non apertamente simpatizzante con Hamas) è sicuramente ben inoltrata sulla strada della condanna inappellabile di Israele.

Anche se riuscisse l’annunciato ed evocato intento dei fanatici Smotrich e Ben-Gvir di espellere tutti gli abitanti di Gaza e Cisgiordania, il risultato sarebbe solo quello di aumentare la determinazione degli espulsi a ritornare e a combattere contro lo stato che li ha sradicati dalla terra dei loro genitori e dove sono nati.

È probabilmente dal tempo dell’invasione sassone delle isole britanniche che una guerra di occupazione non viene vinta nel lungo periodo, o si va incontro ad una sconfitta (come successo agli Americani in Vietnam e ai Sovietici in Afganistan) o a una assimilazione degli occupanti, come è avvenuto per i Longobardi che conquistarono l’Italia. Il costo della guerra di occupazione, in termini economici e umani, è, già nel medio periodo, semplicemente insostenibile.

Analoghe, sia pur diverse nei dettagli, considerazioni possono svolgersi per la guerra in Ucraina. Chiunque esca vincitore da quel massacro (ammesso che possa esserci una vittoria) porterà con se un carico di odi e rancori generazionali. Ne abbiamo visto gli effetti con quanto successo ad Odessa il 2 maggio 2014 con l’incendio alla Casa dei Sindacati. Ancora oggi, a dieci anni di distanza, la responsabilità di quelle morti atroci viene rimbalzata tra filorussi e ucraini, con la guerra in corso è ovviamente impossibile ricostruire la storia oggettivamente, senza accuse di falsificazione.

Proprio mentre completavo queste povere righe è giunto in mio soccorso un articolo che data ad ottanta anni fa’, apparso anonimo (ma quasi certamente scritto da Palmiro Togliatti) su Rinascita pochissimo tempo dopo le stragi di Hiroshima e Nagasaki(5). L’articolo si intitola “O socialismo o morte”(6) e, oltre a contenere una straordinaria analisi che dei rischi di una guerra nucleare (7), indica una strada di uscita, l’unica che allora vide l’anonimo articolista e l’unica che, modestamente (nano sulle spalle di giganti), intravedo io: “È dovere di tutti i popoli di dare tutto il contributo che sta in loro affinché questa volta la prova riesca [si riferiva alla defunta Società delle nazioni, NdA]; ma i popoli sentono che essa non potrà riuscire se, insieme con il rispetto assoluto della libertà delle singole nazioni, non prevarranno, nell’interno di ognuna di esse e internazionalmente, assolutamente nuovi princìpi di solidarietà economica, politica, umana. … L’umanità non ha più scelta. O verso il socialismo, o verso la distruzione. Schiacciando gli aggressori fascisti si è ottenuta una grande vittoria; si coronerà questa vittoria, speriamo, con la creazione di un’organizzazione internazionale che aiuterà i popoli a curare le piaghe del flagello da cui escono. Ma il radicale cambiamento di prospettiva – verso la vita e non verso la morte – non potrà venire che da una trasformazione economica e politica altrettanto radicale.

Oggi come non mai c’è necessità di un nuovo diritto internazionale, basato sulla collaborazione e non sulla concorrenza, che questo ci porti verso una società più giusta, non predatoria, più solidale non è solo auspicabile ma è l’unica strada che, sia pure in prospettiva oltre il mio personale orizzonte temporale, garantirà questo nuovo equilibrio e la nostra, comune, sopravvivenza.

Dalle vicende di oggi, non tanto lontane nello spazio e contemporanee nello svolgimento, mi appare chiaramente, nettamente, sempre più condivisibile l’esortazione che, sempre un grande comunista, Enrico Berlinguer ci rivolse poco prima di morire, parlando non solo a noi giovani della FGCI, dal palco di Assisi: se vuoi la pace prepara la pace.

Per questo, per contrastare la nuova frode che accompagna il Piano di riarmo europeo, frode che prima ci costerà l’abbandono del poco, residuale, welfare sopravvissuto in Europa, poi prenderà la vita dei nostri figli, che nasce la piattaforma No Rearm Europe (cui Parliamo di Socialismo aderisce).

Non esistono guerre che possono essere vinte, nel lungo periodo, neanche quelle commerciali e siamo costretti a trattare con i nostri nemici (alle volte anche con i nostri amici).

Le armi per cui ci indebiteremo prima o poi verranno usate ed è illusorio pensare che un eventuale scontro con la Russia lasci qualche sopravvissuto in Europa (continente di cui la Russia è parte storicamente e culturalmente determinante ed a pieno titolo).

Per approfondire, per sistematizzare questi concetti in maniera più formale, vi invito a leggere il bell’articolo del nostro Lelio La Porta, uscito sul Manifesto del 5 agosto con un titolo evocativo e che sottoscrivo integralmente: La distruzione di massa non è mai un destino.

Mentre ripongo in libreria il pesante tomo di Liddell Hart gli occhi mi cadono sulla dedica appostavi dai due amici che me lo regalarono “Natale 2004. In tempi di guerra per capire le cazzate dei vanagloriosi, Simone e Germana”. Sono passati ventuno anni, sono passato da essere uno “splendido quarantenne” ad essere un sessantacinquenne, ben portante ma sempre un vecchio, da gregario sono stato costretto a trasformarmi in protagonista, mio malgrado, nella professione. Quello che non è cambiato è che spirano sempre venti di guerra, sempre più vicino, quelle che non sono cambiate sono la mia voglia di pace e la consapevolezza che la guerra successiva a questa, che si svolge “a pezzi” (grazie Bergoglio), sarà combattuta con pietre e bastoni (grazie Einstein) sempre che rimanga qualcuno per combatterla.

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Immagine di copertina: La nuvola di condensazione provocata dalla detonazione nucleare sottomarina “Baker” (23 chilotoni) che avvenne il 25 luglio 1946 nell’ambito dell’Operation Crossroads, una serie di test nucleari condotti dalle forze armate statunitensi sull’atollo di Bikini, nelle Isole Marshall. Fonte WIKIMEDIA COMMONS, Lic. This image is a work of a U.S. military or Department of Defense employee, taken or made as part of that person’s official duties. As a work of the U.S. federal government, the image is in the public domain in the United States.

1 Per verificare che l’autore di questo libro fondamentale non fosse solo un topo di biblioteca ma uno conosceva le cose di cui parlava, avendole provate in prima persona, rinvio alla sua biografia che trovate qui https://it.wikipedia.org/wiki/Basil_Liddell_Hart.
In particolare, riletto oggi, colpisce l’esame della strategia dei bombardamenti, da lui stesso definiti terroristici, in Europa, che trova straordinaria assonanza in quel che vediamo nelle foto di quel che resta di Gaza. Analisi che ben viene sintetizzata da Liddell Hart quando descrive, brevemente, il bombardamento di Dresda: “Verso la metà di febbraio la lontana città di Dresda fu sottoposta, col deliberato intento di seminare la strage fra la popolazione civile e i profughi, a un micidiale attacco sferrato proprio contro i quartieri centrali, e non contro gli stabilimenti o le linee ferroviarie.” (pag. 856)

2 Wilhelm Wundt, Ethik, 1886

3 Che non è una guerra perché non ci sono due eserciti a fronteggiarsi

4 Cifra di gran lunga sottostimata secondo uno studio di Yaakov Garb pubblicato nel database dell’Università di Harvard, https://www.perunaltracitta.org/homepage/2025/06/24/gaza-377-000-persone-scomparse-e-aiuti-sotto-controllo-militare-il-nuovo-rapporto-che-accusa-israele/; Studio originale (in inglese) Garb, Yaakov. 2025. “The Israeli/American/GHF Aid Distribution; Compounds in Gaza: Dataset and Initial Analysis of Location, Context, and Internal Structure.” Harvard Dataverse. https://doi.org/doi:10.7910/DVN/QB75LB.

5 “O il socialismo o la morte” in https://futuraumanita.com/2025/08/06/o-il-socialismo-o-la-morte/#more-4163

6 Difficile sia casuale il richiamo al fortunato, più come slogan che come libro, scritto di Rosa Luxemburg (Socialismo o barbarie). Si legge in entrambe i titoli un urgenza che è la stessa che molti di noi sentono sulla pelle e nei pensieri;

7 Analisi ancor più straordinaria considerando che viene fatta all’indomani di un accadimento di cui tutte le implicazioni non erano conosciute ne conoscibili, facile parlarne ora che fiumi di inchiostro, testimonianze, studi scientifici ci hanno fatto conoscere la potenza di questi ordigni mostruosi

Di Roberto Del Fiacco

Libero professionista, consulente tributario, esperto nell'economia dei servizi comunali di raccolta rifiuti. Si illude di essere ancora iscritto al Partito Comunista Italiano e alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (quelli veri). E' nato e morirà comunista

Un pensiero su “L’unica guerra che si può vincere è quella che non si combatte”
  1. Analisi lucida e cruda che non lascia spazio a interpretazioni di sorta. Hai toccato punti che viviamo ogni giorno non solo con le immagini ma con interviste dichiarazioni di soggetti che cercano in tutti i modi di nascondere le atrocità che stiamo vivendo e osservando. Le armi vanno usate quando si comprano e/o si fabbricano e questo è palese soprattutto quando a tutti i costi si cerca un nemico. In piena guerra fredda nel 1975 a Helsinki si firmò un trattato i cui i principi sono “Eguaglianza sovrana, non intervento negli affari interni, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inviolabilità delle frontiere e risoluzione pacifica delle controversie”. L’atto finale fu la creazione dell’O.S.C.E. Sono passati 50 anni e tante cose sono cambiate sia politicamente che geograficamente, alcuni stati non ci sono più. Quello che resta è il nemico e la necessità di un riarmo, a qualunque costo. Un mantra che si ripete nella storia. I riferimenti che fai, non di opinionisti o meglio pennivendoli nei vari talk-show, ma di soggetti che sono stati attivi nel corso del secolo scorso, il nostro per intenderci, ma drammaticamente attuali. E’ importante non solo aderire, come abbiamo fatto, alla piattaforma NO REARM EUROPE ma partecipare attivamente a tutte le iniziative che ci saranno. Come hai scritto SE VUOI LA PACE PREPARA LA PACE.

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