“Se vuoi la pace, prepara la guerra”, dicevano certi antenati. Io invece la penso come tutti i pacifisti del mondo: “Se vuoi la pace, prepara la pace”. Enrico Berlinguer

Siamo ad una svolta epocale: le minacce russe di utilizzo dell’arma nucleare, le risposte pericolose e roboanti dell’amministrazione Usa, le irresponsabili dichiarazioni del Presidente tedesco Sholz, nel discorso all’Università Carolina di Praga, che annuncia un  poderoso riarmo della Germania,  finalizzato ad una supremazia antirussa (solo quella?) in Europa, portano a pensare che trattare la pace, non sia solo la  possibilità principe, ma che sia ormai diventata l’ultima spiaggia. 

Non mi sorprende affatto che le elezioni politiche in Italia siano state vinte dalle destre, perché la storia ci insegna che, nelle grandi crisi cicliche del capitalismo, la gestione delle economie di guerra  trova in loro i più affidabili esecutori degli interessi dei più forti e non saranno sicuramente loro a garantire la pacifica convivenza. Forse prima o poi si ricrederanno anche quegli strenui difensori dei nostri valori (in verità spesso solo di alcuni), che non ricordano che quello più grande per cui è nata una Comunità nel nostro continente è quello della pace, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Senza questo primario valore, ogni forma democratica, monca o compiuta che sia, è fuori discussione. Quindi, per favore, mettiamo in soffitta il putinismo e antiputinismo e cerchiamo di ragionare su come poter arrivare ad una soluzione di pace in Europa. Soprattutto mi preme che partendo anche da questi temi, si possa ricostruire un partito di massa di sinistra che sia davvero alternativo alle destre e che nel vortice della crisi, tenga alta la bandiera della difesa delle classi subalterne e quella della pace, senza la quale, noi lavoratori e ceti più deboli abbiamo già perso in partenza. Tutte le strategie messe in campo nella crisi ucraina: da quella di una rapida occupazione della regione da parte dei russi; a quelle degli USA, avallate dalla Comunità Europea, di mettere in crisi la leadership russa attraverso le sanzioni economiche; per concludere con quella del continuo invio di armi  che ha causato una risposta russa sempre più cruenta, stanno miseramente e prevedibilmente fallendo. Il referendum nel Donbass, che ha il sapore di una beffa dopo l’occupazione delle truppe russe, quello di un coinvolgimento di 300mila riservisti che comunque necessitano di un addestramento di mesi per essere schierati in trincea e per ultime le minacce dell’uso di armi nucleari, sembrano più dimostrare un grande segno di debolezza di Putin, ormai ridotto come una bestia gravemente ferita che cerca di dare gli ultimi colpi di coda. Questo fa sì che il conflitto possa degenerare in scenari ancor più gravi, con le immaginabili conseguenze apocalittiche. Le notizie di proteste in tutta la Russia e le numerose realistiche voci (non occidentali) di crepe all’interno del Cremlino, stanno lì a dimostrare, l’inesorabile via del fallimento della follia imperiale putiniana. Dall’altra parte le risposte politiche dell’Europa che più che sanzionare la Russia, stanno già sanzionando le nostre economie, stanno aggravando una crisi che già mordeva prima e che tra pochi mesi rischia di diventare irreversibile e permanente. Oltre Oceano, le scellerate politiche degli USA, che per anni hanno puntato ad un accerchiamento irresponsabile della Russia, fino a portare armi e militari sotto le loro case, sono state un fallimento totale, come ormai la Casa Bianca ci ha abituato da anni, vedi Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, ecc. È chiaro che sia economicamente che strategicamente la Comunità Europea ha interesse ad avere rapporti pacifici e costruttivi col grande vicino, d’altronde fino ad oggi gli ipocriti governi, che ora inveiscono contro Putin, ci facevano ogni sorta di affari e con questo metro di valutazione dovremmo realisticamente rompere i rapporti con decine e decine di Stati del mondo, che varcano i loro confini in armi, con mire espansionistiche (Turchia, Arabia Saudita, Israele, ecc.). Ma anche i lavoratori e il popolo americani ne stanno subendo le ripercussioni: la Federal Reserve ha dovuto alzare i tassi di interesse dello 0,75%, con il costo del danaro ai massimi dal 2008, i tassi inflazionistici si impennano e l’odore di recessione si fa sempre più nauseabondo. 

Come ha detto il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, all’ultimo Consiglio di sicurezza dell’ONU, ribadendo l’ opportuno dialogo per la pace e riconfermando il grande pragmatismo  che contraddistingue il suo paese: “questo conflitto  ormai non conviene più a nessuno”. È ovvio che ad una potenza come quella asiatica, che ha l’Europa come primo partner commerciale e vantava a gennaio  un aumento post-pandemico delle importazioni dagli USA pari al +30%, non basta il parziale aumento degli scambi con la Russia e per questo non hanno mai appoggiato l’intervento in Ucraina. Tutto il mondo rischia di procedere verso la china della recessione economica, con danni irreversibili per i lavoratori e i ceti più deboli, per la convivenza pacifica e per la sorte già fortemente in bilico del nostro pianeta. Sembra giunto il momento della pace!! Non si può attendere inermi, seduti sull’orlo del burrone! Bisogna sfruttare qualsiasi tenue raggio di luce, si intraveda in questo buio totale! 

Il Professor Stefano Zamagni, Presidente della Pontificia Accademia  delle scienze sociali, uomo molto ascoltato da Papa Francesco, in una recente intervista lascia intendere la disponibilità del pontefice, tra l’altro più volte pubblicamente manifestata, per avviare una trattativa che giunga all’immediato cessate il fuoco. Oggi nel mondo non ci sono importanti capi di Stato in grado di fare un passo indietro, perché sono tutti soggiogati dagli intrecci economico-finanziari e l’interesse di pochi mette sotto i piedi quello di tutti, come assistiamo attoniti da anni, osservando la loro colpevole inerzia, rispetto alla catastrofe climatica. Questo tentativo, per me, va appoggiato dal basso: troviamo gli strumenti! In questi ultimi anni mi sono accorto, tornando ad impegnarmi in politica in questa nostra bella Associazione, che esistono un mare di associazioni, laiche e cattoliche, militanti della sinistra sciolti e organizzati nei partiti, uomini e donne, giovani e non che si sentono ancora parte della sinistra, che pensano ad un futuro migliore. Nessuno li rappresenta nella loro complessità, nella loro peculiarità. Nessuno rende propulsiva la loro forza. Bisogna trovare un minimo comune denominatore e farlo per chiedere quel bene essenziale e primario che è la pace, può essere il giusto modo per ritrovarci tutti insieme a lottare. Lottiamo con tutti i mezzi affinché si lanci la proposta di una Conferenza per la pace e la sicurezza dei popoli europei, sul modello di quella di Helsinki del 1975.

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