Incontro con gli autori del libro, 21 aprile 2023, Testaccio

La Città eterna, già centro e anima delle speranze italiane nel breve e straordinario tempo della Seconda repubblica romana, per 271 giorni contrastò l’occupazione di un nemico sanguinario e oppressore con sofferenze durissime. Più volte Roma nella sua millenaria esistenza aveva subìto l’oltraggio dell’invasore, ma mai come in quei giorni il suo popolo diede prova di unità, coraggio, determinazione. Nella strenua resistenza di civili e militari a Porta San Paolo, nei tragici rastrellamenti degli ebrei e del Quadraro, nel martirio delle Fosse Ardeatine e di Forte Bravetta, nelle temerarie azioni di guerriglia partigiana, nella stoica sopportazione delle più atroci torture nelle carceri di via Tasso e delle più indiscriminate esecuzioni, nelle gravissime distruzioni subite, i partigiani, i patrioti e la popolazione tutta riscattarono l’Italia dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista. Fiero esempio di eroismo per tutte le città e i borghi occupati, Roma diede inizio alla Resistenza e alla guerra di Liberazione nazionale nella sua missione storica e politica di Capitale d’Italia. 9 settembre 1943 – 4 giugno 1944 (motivazione per la concessione della Medaglia d’oro al valor militare della Resistenza alla Città di Roma)

Venerdì scorso, insieme alla sezione ANPI Difesa “Martiri di Cefalonia – Gino Mangiavacchi”, presso la Casa della Sinistra di Testaccio, la nostra associazione ha proseguito il suo percorso di valorizzazione della memoria della sinistra e del movimento operaio, con l’incontro con Aldo Pirone e Sergio Gentili autori del libro “Roma ’43-44 L’alba della Resistenza” (ed. Bordeaux).

Alla presentazione hanno partecipato compagne e compagni dell’Associazione e dell’ANPI e cittadini del quartiere.

Il libro rievoca i 271 giorni della Resistenza romana, da quel giorno di settembre 1943 in cui il monarca e il governo fuggirono ignominiosamente dalla Capitale lasciandola preda dell’invasore nazista e dei complici fascisti, sino al giugno dell’anno successivo.

Il merito del libro è ai nostri occhi quello di farci scoprire che la Resistenza romana non fu soltanto iniziativa di un gruppo di antifascisti ma un vero e proprio moto popolare di lunga durata che coinvolse giovani, adulti, anziani, reduci della prima guerra mondiale, arditi del popolo, proletari, disoccupati e studenti universitari e delle superiori, militari e civili. Insomma Roma fu veramente quella “Città ribelle e mai domata” che è protagonista dell’inno dei comunisti romani.

Di fronte alla falsificazione storica operata in questi giorni anche, se non soprattutto, dalle massime cariche della Repubblica nata dalla resistenza questa diffusione puntuale della memoria e della storia è un vero e proprio compito rivoluzionario in senso gramsciano.

I partecipanti hanno potuto parlare direttamente con gli autori che hanno raccolto le storie e riempito il libro di documenti e ricostruzioni, con una operazione di storia militante ma inoppugnabile data la varietà delle fonti.

E’ stato un pomeriggio in cui ci siamo specchiati nella nostra storia e ne abbiamo tratto nuova forza per contrastare l’ondata di fango che ciclicamente viene riversata sulla resistenza e sui resistenti romani e italiani. Abbiamo riscoperto il valore fondante della parola “patria” che è fondamentalmente diverso da quello che gli attribuisce la destra oggi al governo.

A via Rasella dovremmo mettere una targa: “Qui n’avemo fatti secchi trentatre” (una compagna)

Vi lasciamo con un “dialogo” che il compagno Lelio La Porta ha “immaginato” avrebbe potuto svolgersi oggi tra Antonio Gramsci e Piero Gobetti sull’indifferenza e sulla necessità dell’impegno:

Piero e Antonio

Piero: “Stavo rileggendo quel tuo articolo di qualche anno fa dove scrivevi di indifferenza”

Antonio: “Lo trovi ancora attuale?”

P.: “Tutto ciò che riguarda la nostra natura resta attuale per sempre”

A.: “Non è che mi vuoi rubare le citazioni? Per sempre è roba mia!”

P.: “Per carità! Ma voglio aggiungere qualcosa a quello che intendi per indifferenza. Poi, adesso che stanno per andare al potere questi cornacchioni vestiti di nero…”

A.: “Dimmi! Magari da buon liberale, anche se non sei proprio come don Benedetto, potresti tirare fuori qualcosa di interessante”

P.: “Penso che non possa essere morale chi è indifferente!”

A.: “Pensiero sottile che diventa un macigno per la coscienza di chi sappia intenderlo!”

P.: “Sai Antonio! È da tempo che volevo dirtelo e oggi me ne dai l’opportunità: seppure liberale mi sento molto più vicino a te e ai comunisti come te che a quelli che si definiscono liberali”

A.: “D’altronde tu parli e scrivi di rivoluzione, la rivoluzione delle coscienze. E ce ne sarà bisogno ora che andranno al potere questi uccellacci del malaugurio! E poi, caro amico mio, dobbiamo lasciare un messaggio ai giovani che, insieme a noi, dovranno sopportare questa dittatura dell’ignoranza e dell’indifferenza! Dovremo liberarcene tutti insieme!”

P.: “Speriamo che diano anche a noi la possibilità di partecipare a questa liberazione! Sai, questi uccellacci usano i bastoni come se fossero parole!!!”

A.: “E potrebbero usare anche altri mezzi: pensa al carcere, ad esempio!”

P.: “Che chiari di luna, caro Antonio!”

A.: “Vedi, se riuscissimo a fare intendere che la morale batte l’indifferenza e, con una spruzzatina di cultura e un poco di politica, può diventare esplosiva miscela rivoluzionaria, cioè libertà, non credi che avremmo assolto ad un nostro compito preciso?”

P.: “Guarda, non devi neanche convincermi! Sono sicuro che è come dici!”

A.: “Allora, sotto con carta, penna e calamaio. Scriviamo e incontriamo quante più persone crediamo siano interessate alla battaglia contro l’indifferenza.”

P.: “Forse un domani non ci sarà più bisogno di carta, penna e calamaio per comunicare. Inventeranno chissà quale diavoleria!”

A.: “Non ci voglio pensare, mio caro amico. Voglio pensare soltanto al fatto che a noi spetta il compito di vederlo il domani; da questo punto di vista, il primo obiettivo è chiudere questi uccellacci in gabbia! Ce la facciamo?”

P.: “Ce la dobbiamo fare. Cominciamo noi e, vedrai, riusciremo a trovare un grande seguito, soprattutto fra i giovani. D’altronde, noi siamo giovani e a loro ci dobbiamo rivolgere!”

A.: “Certamente i giovani sono i più sensibili ad un appello contro l’indifferenza!”

P.: “Sono d’accordo con te! Mettiamoci al lavoro!”

A.: “Forza Piero! Che ne dici di uno slogan del genere? Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza, agitatevi perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo, organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la nostra forza!”

P.: “Il messaggio mi sembra forte e chiaro!”

A.: “Bene! Qua la mano! Per salutarti con il pungo chiuso è meglio aspettare! O no?”

P.: “Per me non c’è problema, caro amico e un poco compagno. D’altronde, compagno significa mangiare il pane insieme…”

A.: “Già!”

P.: “E allora siamo compagni!!!”

Foto di Parliamo di Socialismo

Si ringraziano i compagni dell’ANPI sezione Difesa per la collaborazione e la Sezione di SI, casa della Sinistra di Testaccio per l’ospitalità

2 pensiero su “Roma ’43-44 L’alba della Resistenza”
  1. INTERROGATIVI

    Venerdì scorso a Testaccio nel corso del bel dibattito sul libro mio e di Sergio Gentili “Roma’43-’44. L’alba della Resistenza” promosso dalla Associazione “Parliamo di socialismo”, sono state sollevate due osservazioni che richiedono una riflessione. La prima riguardava il finale del libro dove in sostanza si riporta l’impressione che fece il discorso di Togliatti al teatro Brancaccio del 9 luglio ’44 su alcuni presenti del Movimento di “Bandiera rossa”. La testimonianza riportata è di Felice Chilanti esponente di quel movimento poi confluito nel Pci. L’osservazione non peregrina è stata che a Roma (circoscrizione elettorale Roma-Viterbo-Frosinone-Latina) nel voto alla Costituente il partito repubblicana prese, anche se di poco, più voti del Pci (15,17 contro il 14,16% mentre il Psiup prese il 10,68). Ciò fa supporre che molti voti popolari di “Bandiera Rossa” nella nuova capitale della Repubblica andarono ai repubblicani. Probabilmente il Pri fu aiutato anche in parte dal suo marchio di partito repubblicano visto che contemporaneamente si votò per il referendum monarchia o repubblica o anche che la confluenza di massa dell’elettorato di “Bandiera Rossa” ebbe tempi più diluiti. Al voto per le comunali, infatti, di pochi mesi dopo a Roma città (10 novembre ’46) il responso elettorale fu già diverso: Il blocco del popolo (l’alleanza fra Pci e Psiup) prese il 36,89% e il Pri il 7,83. Bisognerebbe, inoltre, confrontare il voto per la Costituente di Roma città e quello per le comunali per precisare l’effettivo divario fra Pri e Pci.

    Altra questione interessante sollevata è stata sull’affermazione del nazista Dollmann che avendo incoraggiato Kesselring a occupare Roma perché tanto i romani non avrebbero fatto resistenza, alla fine dovette riconoscere che la città fra le grandi capitali d’Europa era sta quella che più aveva dato filo da torcere ai nazisti occupanti. Anche Alessandro Portelli ha richiamato questa considerazione di Dollmann nella sua pregevole lezione su via Rasella al Tufello venerdì scorso. E allora Varsavia? Ha domandato qualcuno. In effetti la città fu teatro di due insurrezioni: quella del ghetto nel’43 e quella dell’armata nazionalista dell’agosto ’44 quando i sovietici erano alle porte della città. E le due battaglie furono tremende. Probabilmente Dollmann, ma più in generale i nazisti, non consideravano Varsavia, gli slavi polacchi e men che meno gli ebrei degni di nota e per loro le grandi capitali europee erano solo quelle da loro occupate dell’Europa occidentale: Oslo, Praga, Bruxelles, Parigi, Copenaghen, Amsterdam. Sull’insurrezione dell’agosto ’44 riporto quanto scritto nel mio ultimo libro sulla Resistenza italiana a pag. 120 nota 19 “I cinque anni che sconvolsero l’Italia. La rivoluzione democratica 1943-1948”

    “L’insurrezione di Varsavia iniziò il 1° agosto e terminò il 2 ottobre. A condurla fu l’esercito nazionalista polacco Armia Krajowa armato di armi leggere. Lo scopo era di liberare la città prima dell’arrivo dei russi per far valere di fronte ai sovietici le posizioni dei nazionalisti. Nel far ciò si guardarono dal concordare con i comandi dell’Armata Rossa il moto insurrezionale, fiduciosi che, comunque, i sovietici sarebbero entrati in città, di cui occupavano già la parte orientale al di là della Vistola, accettando il fatto compiuto. Stalin aveva altri interessi e altri progetti per il futuro della Polonia e stette, sostanzialmente, a guardare la spietata repressione nazista. Non aiutò l’insurrezione dei varsaviesi rifiutando le sollecitazioni di Churchill e Roosevelt a intervenire. Addirittura, non concesse agli angloamericani l’uso degli aeroporti per consentire ai loro aerei di portare aiuto agli insorti. Il grave episodio testimoniava come nella conduzione della guerra iniziassero a farsi sentire le logiche della futura spartizione dell’Europa in zone d’influenza fra l’Urss e le potenze occidentali. Alla stessa logica rispose la spietata repressione degli inglesi nei confronti dei comunisti greci nel dicembre del ’44”.
    Aldo Pirone

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