DIARIO PARTIGIANO Ada Gobetti

Ada Prospero Gobetti Marchesini (Torino 1902-1968)

Nel 1923 sposò Piero Gobetti che morirà anni dopo a seguito di un pestaggio fascista. Ada è stata oltre che la principale collaboratrice di Piero, anche insegnante d’inglese, traduttrice, autrice.

Tra gli organizzatori del movimento Giustizia e Libertà e tra i fondatori del Partito d’Azione in clandestinità.

Dopo la liberazione Ada Gobetti sarà eletta vice-sindaco di Torino , accanto al sindaco comunista Giovanni Roveda


In questi giorni si è celebrata la ricorrenza del 25 aprile. Vi propongo la recensione di questo libro perché credo che tutti dovrebbero leggerlo per capire veramente cosa è stata la resistenza in Italia. Il libro si basa sugli appunti che Ada Gobetti prese a partire dal 10 settembre 1943. Ha inizio con Ada che si trova all’angolo tra Via Cernaia e Via Ferraris a Torino e sta distribuendo volantini,

… Vidi, con occhi increduli, passare una fila di automobili tedesche…

è l’occupazione tedesca del Nord Italia a sostenere il governo fantoccio della Repubblica di Salò. Da quel momento Ada Gobetti, suo figlio Paolo e il suo secondo marito Ettore Marchesini saranno protagonisti della resistenza, tra la val Germanasca e la Val di Susa. Nella nostra breve ricognizione letteraria non ci soffermeremo però sull’enorme e instancabile lavoro che Ada Gobetti svolse nella guerra di liberazione: nell’organizzare gruppi, nel contattare donne, nel partecipare a riunioni politiche ed anche ad azioni sul campo; vorremmo invece mettere in luce l’aspetto umano, come già enunciato nel titolo di questo scritto; una madre che va alla guerra senza indugi e senza tentennamenti, ma con tutti i timori di avere accanto in prima linea con se un figlio adolescente, costretto da quell’assurda situazione a rinunciare alla sua gioventù, per imbracciare le armi e combattere per la libertà, e insieme a suo marito combatterà fino alla Liberazione. Partendo da qui, in questo diario si rintracciano mirabilmente i tratti drammatici e a volte raccapriccianti di una guerra civile fratricida, in un territorio occupato da truppe straniere, e come anche una donna: forte, coraggiosa, volitiva, viva questa situazione con grandi contraddizioni che lei stessa lucidamente trascrive ogni giorno. Si trasferirà a Meana, dove passava le vacanze, per seguire più da vicino le operazioni partigiane e per sfuggire alle retate e userà la sua casa di Torino dove viveva, come punto d’incontro di tutti i partigiani e gli antifascisti, aiutata nel vigilare alla sicurezza dalla fedele portinaia Espedita e da alcuni vicini:

“…Torino. Giornata vertiginosa. Ho calcolato che oggi son passate in casa mia cinquantaquattro persone. E qualche volta mi chiedo se questo mio affidarmi all’istinto e alla sorveglianza di Espedita e alla benevolenza dei vicini non rasenti l’incoscienza. Ma poi mi dico che difficilmente il punto di riferimento rappresentato dalla mia casa sarebbe sostituibile…”

A Meana inizia la loro militanza partigiana, Ada svolge funzioni di raccordo e di collegamento tra le forze della resistenza, mentre Paolo partecipa attivamente alle azioni sul campo ed Ettore sfruttando il fatto di lavorare come tecnico Eiar da il suo prezioso contributo anche con i collegamenti delle apparecchiature radio. Nei rari istanti di calma, ricorda i momenti di felicità quando suo figlio era ancora bambino ma le sue paure non fermano la sua determinazione a rispettare le sue scelte:

“…Ma oggi io non posso più nulla per lui: o quasi nulla. I suoi problemi deve risolverli da solo. Posso cercare soltanto di non paralizzare la sua iniziativa, il suo impeto vitale. Mi sforzerò di non farlo mai…”

La lotta partigiana che l’autrice intraprenderà in prima persona non risparmia colpi duri, e vedrà cadere sotto il fuoco nemico tanti di quelli che hanno intrapreso questo viaggio con loro. … Un altro fanciullo è caduto, un’altra luce si è spenta: Paolo Diena è stato ucciso con altri otto in una imboscata nei pressi d’ Inverno Pinasca… Spesso in quella lotta vivrà le ansie di ogni madre, l’angoscia che prima o poi anche suo figlio possa cadere sotto il fuoco nemico, ma sarà la stessa pena che vivrà per ognuno di quei giovani partigiani:”… Infatti, nel breve tratto di prato, tra la strada e la roccia della montagna, seminascosto da un mucchio di sassi, giaceva il partigiano ucciso. No, non era Paolo, anche se non se ne scorgeva il viso, reclino. Ma non provai nessuna reazione di sollievo, una pena insostenibile mi scosse tutta alla vista di quella giovane carne denudata e straziata, come se fosse stata la mia stessa carne…”

Pure da parte sua non ci sarà mai odio, e si soffermerà sempre con uno sguardo benevolo e con una parola di leale speranza anche verso i tanti giovani soldati nemici, così dopo l’uccisione di Davide un giovane partigiano, con lucidità riflette:

“…Anche la c’erano dei tedeschi: dei bei ragazzi biondi, allegri. Spogliati delle divise, dei simboli odiati, in che cosa erano diversi dai nostri? Pensai che se ci fosse stato uno di loro al posto del giovane Davide, avrei provato la stessa ribellione e la stessa pena…”

I giovani che saranno per tutti quegli anni al centro dei suoi pensieri, quei giovani che con eroismo supportato a volte dall’incoscienza, le strappano un sorriso anche nei momenti di grande tensione:

“…Stamane, appena giunti a Torino, ecco Gigliola, raggiante con una magnifica rivoltella d’ordinanza tedesca. Iersera, al ristorante in cui pranzava con Franco, un ufficiale tedesco appese ad un attaccapanni il mantello col cinturone e l’annessa rivoltella. Gigliola lo copri col suo poi al momento di andarsene tolse la rivoltella dal fodero se la infilò nella borsetta…”

Con pochi semplici tratti l’autrice affronta tutte le incertezze e i dubbi di chi mentre combatteva, spesso non poteva neanche permettersi di riflettere, ad esempio in quello che significava in quel periodo pensare al futuro, al mondo che doveva venir

”… Quale sarà il mondo che uscirà dal tormento di oggi? Tutta la notte ho rimuginato questi pensieri, senza poter chiudere occhio. Ho paura di questo domani che sarà così diverso, così ostile, forse a troppe cose in cui ho creduto. Capisco che così deve essere; sono pronto a dare la vita perché così sia; ma avrò la forza di viverci, in questo “nuovo ordine” di domani? Saprò rifarmi tutta – sangue, istinti, pensieri e miti – in modo da poter respirare liberamente nell’atmosfera nuova senza sentirmi un nostalgico sopravvissuto relitto?…”

E con grande umiltà, accetta anche i toni severi di chi sente di avere certezze più salde di lei:

…affascinata dalla serietà ponderata con cui Giancarlo (Pajetta ndr.) mi veniva spiegando certi metodi organizzativi, ero uscita un tratto ingenuamente a chiedergli – Mi prendereste a lavorare con voi? – Noi non siamo un rifugio per le anime in pena, – m ‘ aveva risposto con una certa durezza – se non è convinta delle nostre idee, dei nostri principi, non la vogliamo -. Avevo incassato la lezione tacendo…”.

Con la stessa franchezza saprà anche lei esprimere giudizi taglienti:

“…Per conto mio – dopo la poco brillante prova data, durante la Resistenza, dalla maggioranza dei professori e studenti universitari, chiuderei le università per venti anni (o forse esagero: basterebbero dieci). Si avrebbe tempo così di preparare istituzioni migliori e si eviterebbe di continuare a buttare sul mercato migliaia di laureati ignoranti e presuntuosi…”

In più di un’occasione si troverà a scontrarsi con la tradizionale concezione maschile che avrebbe voluto le donne relegate a ruoli familiari, così quando varca la frontiera insieme ad un gruppo di partigiani e si trova al cospetto di ufficiali alleati annoterà:

”… Ma era la mia presenza che non riuscivano a mandare giù. Che cosa ero venuta a fare? La tradizionale concezione maschile della donna, venata di naturale diffidenza, li rendeva incomprensivi, e, benché non avessi nulla di simile a una Mata-Hari, suscitavo tuttavia in loro un certo sospetto…”

Ma Ada Gobetti rimarrà sempre al suo posto, instancabile tessitrice di rapporti e di incontri tra organizzazioni partigiane, tra gruppi femminili, a volte dirigente, a volte semplice staffetta, con la stessa passione, col coraggio, con l’umiltà di chi sa di stare dalla parte della ragione, passando tra le peggiori atrocità della guerra perpetrate fino agli ultimi giorni prima della liberazione:

”… 17 marzo 1945 fingendo di essere partigiani, con documenti falsi, due fascisti si son fatti ospitare da una famiglia d’operai, gli Arduino; poi a un certo punto li han fatti uscire di casa e li hanno ammazzati tutti il padre, il figlio, le due sorelle…”

Dopo la liberazione Ada Gobetti sarà eletta vice-sindaco di Torino , accanto al sindaco comunista Giovanni Roveda.

Credo che il Diario Partigiano che per anni è stato anche libro di lettura delle scuole medie, dovrebbe tornarci ai nostri giorni nelle scuole e a buon diritto come testimonianza, come dirà Italo Calvino del modo come la guerra partigiana viene vista e vissuta da chi ha avuto la ventura di combatterla sul campo, servirebbe questo libro a controbattere a quel processo di revisione storica, purtroppo in atto anche nelle scuole, che vuole uniformare e mettere sullo stesso piano il fascismo e l’antifascismo.

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