di Luca Michelini pubblicato il 28 maggio 2022 su “sinistrainrete”

L’aziendalizzazione della scuola, di ogni grado compresa l’Università, e il disperato tentativo di trovare una misura di mercato al suo funzionamento e sviluppo, hanno guidato qualsivoglia atto di governo negli ultimi 30anni. La stessa “pedagogia” è divenuta una “pedagogia per il mercato”. La parola “riforma” è stata snaturata, perché ha sotteso e sottende, sempre, una controriforma. E così accade della parola “progresso”, che ha sotteso e sottende, puntualmente, forme di “regresso” e di “conservazione”.


  1. Voglio proporre una breve riflessione sull’Università ricordando un celebre passo di Marx.

Che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive, degli individui (…)? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire?

2. Il superamento del capitalismo non è un fatto compiuto, come alcuni hanno voluto far intendere utilizzando questo testo.

Credo che si tratti di un fatto evidente: la logica della mercificazione entra nelle vite di tutti noi senza tregua alcuna. Soprattutto, è in atto un processo di mercificazione del sapere, divenuto oggi la chiave di volta della produzione di ricchezza. Della produzione di valore d’uso, direbbero i classici con Marx e con il nostro Cattaneo. Non di valore di scambio, di merci.

Posso immaginare il commento, ilare, che suscitano gli autori richiamati: con le parole del poeta, si tratterebbe di “archeologia del presente”. Si commetterebbe un grave errore di prospettiva. Perché dopo quegli autori ci sono state generazioni e generazioni di uomini e di donne – ministri, politici, partiti, associazioni, studiosi, lavoratori dell’intera filiera scolastica – che hanno costruito la scuola pubblica italiana: con tenacia, professionalità, passione, audacia direi. L’hanno costruita così bene che ancora oggi, dopo 30 anni di attacchi neo-liberisti, essa resiste. La qualità della nostra scuola risalta evidente a tutti gli studenti che vanno in Erasmus e si confrontano con altri sistemi scolastici. E non è forse vero che abbiamo continuato ad esportare cervelli?

E dunque: ricordiamoci che è la logica del profitto a porre le basi oggettive del suo superamento. Oggettive, ma potenziali: perché nulla c’è nella storia di deterministico e di economicistico.

3. Proviamo a fare un elenco sommario di tutto ciò che ha avuto come scopo fondamentale quello ricacciare quanto più indietro possibile la lancetta della storia, piegando il sapere e la produzione di ricchezza alla logica del profitto. Primo: la finanziarizzazione dell’economia; secondo: le politiche neo-liberiste che vengono praticate in modo bipartisan da oltre un trentennio con le privatizzazioni; terzo: la progressiva sostituzione dello “Stato imprenditore” con “l’Imprenditore-Stato”; quarto: la distruzione del diritto del lavoro, perché l’unica vera liberalizzazione cui ha puntato il neo-liberismo è stata quella del mercato del lavoro; quinto: le politiche di austerità; sesto: la nascita di un mercato unico europeo che tradisce i proponimenti sociali dei padri fondatori dell’europeismo.

Tutto questo è avvenuto proprio mentre la logica del profitto ha dimostrato, negli USA con la crisi del 2007/8 come altrove, di essere evidentemente antistorica. O facciamo finta di non sapere che il sistema è stato salvato dall’intervento pubblico?

4. Mentre la storia vorrebbe che l’economia del profitto fosse subordinata alla logica della produzione del sapere e della ricchezza, come indica la nostra originaria Costituzione, oggi ogni sforzo della politica mira a subordinare il sapere e la ricchezza alla logica del profitto.

L’aziendalizzazione della scuola di ogni grado, compresa l’Università, e il disperato tentativo di trovare una misura di mercato al suo funzionamento e sviluppo, hanno guidato qualsivoglia atto di governo negli ultimi 30 anni. La stessa “pedagogia” è divenuta una “pedagogia per il mercato”. La parola “riforma” è stata snaturata, perché ha sotteso e sottende, sempre, una controriforma. E così accade della parola “progresso”, che ha sotteso e sottende, puntualmente, forme di “regresso” e di “conservazione”.

5. Gli strumenti per combattere la pandemia hanno costituito una parentesi della quale il neo-liberismo bipartisan voleva liberarsi urgentemente. Con la pandemia, le tecniche economiche tipiche di un’economia di guerra, come la monetizzazione del debito e le ingenti spese pubbliche, sono state piegate al soddisfacimento di bisogni realmente sociali, cioè votati al soddisfacimento dell’interesse generale. Abbiamo intravisto uno scorcio di Europa politica e sociale. Perfino i neo-liberisti hanno improvvisamente riscoperto l’importanza della sanità pubblica, della ricerca di base, del coordinamento pianificato dei trasporti, di una vera politica industriale.

6. Tuttavia, la situazione doveva essere normalizzata. Ci ha pensato il governo Draghi, anche facendo leva sulle timidezze dei governi precedenti: taglio alla spesa sanitaria, all’istruzione, privatizzazione dei trasporti pubblici locali e norme che insidiano l’acqua pubblica, conservazione di agglomerati oligopolistici. Poi è arrivata la sovranità del prezzo speculativo delle materie prime e dell’energia: un altro regalo delle privatizzazioni. Infine è intervenuta la guerra russo-ucraina e la volontà nazionalistica di guerra che pervade, oltre che la Russia, anche l’Occidente e il nostro Paese, forse più di altri.

L’azione pubblica doveva rientrare nei suoi orizzonti “naturali”: si doveva ribadire che l’unica e vera parentesi della storia italiana è quella costituita dalla Prima Repubblica. Lo Stato deve tornare a fare gli interessi di parte. Le tecniche dell’economia di guerra devono servire a ristabilire l’ordine delle cose: l’assoluta prevalenza della logica del profitto, guidata dalla spesa militare. Siamo alle porte di una epocale recessione? Non dobbiamo dimenticarci che le crisi economiche servono a ristabilire quello che viene spacciato per ordine naturale delle cose: questa è la “mano invisibile” che governa il mercato. Qualcuno forse sente parlare di politiche per la piena occupazione? Qualcuno avrebbe alzato un dito a favore di una resistenza greca?

“Socialismo o barbarie” è stato scritto: sarebbe folle nascondersi che – oggi – siamo ad un tornante della storia dove la storia stessa potrebbe cessare il proprio corso.

7. Non sono così ingenuo da ritenere che la subordinazione della logica del profitto a quella del sapere e della produzione della ricchezza, materiale e spirituale, si realizzi in un atto di governo, in una riforma, in un referendum, in un programma di partito, tantomeno in un convegno. Questo tentativo di subordinazione è costato due secoli di lotte disperate. Nel nostro Paese è stato un tentativo che ha preso realmente vita dalla lotta antifascista, dalla Costituzione e si è articolato, tumultuoso e contraddittorio e in modo trasversale ai partiti esistenti, fino al crollo della Prima Repubblica.

Proprio perché l’Italia è stata protagonista mondiale di questo tentativo; proprio perché l’Italia ha individuato un proprio, originale percorso, capace di trasformare la società senza rinunciare alla inviolabilità dei diritti individuali: proprio per questo oggi l’Italia è ricacciata così indietro. Oggi l’Italia è l’unico paese dove una enorme massa di persone schiacciate dalla logica del profitto non ha più alcuna rappresentanza parlamentare. Eppure questa massa rimane cardine della democrazia, come puntualmente confermano i tornanti referendari. Chiedo: per quanto ancora?

8. L’idea della gratuità della scuola oggi è sicuramente minoritaria. Non è scontato che una condizione di servitù volontaria, materiale e spirituale, all’interno della quale sono state strutturate con le “riforme” ben studiate e consapute gerarchie e stridenti diseguaglianze, non è scontato che tale situazione generi un soggetto capace di cambiare i rapporti di forza, nella società come nella politica.

Del resto, sono innumerevoli e cogenti gli imbrigliamenti amministrativi che rendono possibile questa servitù. Oggi essi sono declinati dalla logica della meritocrazia: tema senz’altro legittimo e importante; ma non è un caso che la meritocrazia si fermi sulla soglia del capitalismo familistico e del familismo tout-court. Nella scuola, comunque, è una logica che viene declinata in modo strumentale: lo dimostrano i tagli di bilancio, la precarizzazione del lavoro, la valutazione di Stato della ricerca, volta a imbrigliarne la libertà. Quella libertà che è stata codificata nella nostra originaria Costituzione.

Proprio mentre la tecnica permetterebbe un accesso libero e gratuito alla conoscenza, i singoli studiosi sono obbligati a dare i frutti del loro lavoro a giganteschi monopoli editoriali, che dissanguano lo stesso sistema pubblico grazie agli abbonamenti e a pseudo politiche di liberalizzazione. Un autorevole teorico della nuova costituzione economica italiana, quella nata sull’onda delle privatizzazioni, è riuscito ad affermare che senza la logica del profitto non si sarebbero potuti inventare e produrre i vaccini. Non solo costui si è curiosamente dimenticato dell’enorme investimento pubblico nella ricerca che ha consentito questo processo creativo. Seguendo questa logica si è andati oltre: non si sono voluti liberalizzare i vaccini, renderli gratuiti, lasciando così in balia della pandemia i paesi poveri e ponendo quelli ricchi in una condizione di enorme rischio. Non è un caso che la maggior parte degli esperti diventati commentatori dei principali quotidiani non hanno mai fatto cenno alcuno a questo tema. L’informazione, del resto, non è oggi essa stessa totalmente in mano alla logica del profitto?

Quale infernale macchina è quella – ed uso il termine volutamente – che ha consentito di attribuire le caratteristiche dell’attività imprenditoriale ad un determinato rapporto sociale? Che ha voluto ed è riuscita ad attribuire le caratteristiche del processo lavorativo, quello che produce ricchezza e valori d’uso, al processo di valorizzazione, quello che produce merci e capitale? È una macchina talmente perfetta da riuscire a convincere quasi tutti noi, noi cittadini, che la logica del profitto non è solo è propria della natura umana, ma addirittura di quella divina. Il dio denaro, appunto.

La strada è molto stretta, insomma. Possiamo tuttavia tentarci. Dobbiamo tentarci.

Gramsci ha insegnato al mondo il ruolo fondamentale che hanno il sapere e la cultura nel guidare il cambiamento sociale e politico. Un sapere inteso in tutta la sua complessità istituzionale e organizzativa, così come la cultura, da quella ‘alta’ a quella ‘popolare’, senza dimenticare l’informazione, tenacemente addomesticata dai poteri costituiti.

Pensare che un nuovo blocco storico possa essere costruito a partire dai lavoratori della conoscenza non credo sia un’utopia. Del resto, è proprio la scuola, oggi, ad essere al crocevia dello scontro di civiltà.

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