Iniziamo, oggi, a pubblicare interventi di persone che, anche se non fanno parte della nostra associazione, condividono con noi lo scopo di fondo di ricostruire non solo una forza organizzata della sinistra ma anche un “pensiero di sinistra” e, più propriamente, socialista. Vorremmo che questo spazio divenisse un luogo di confronto, non solo virtuale e a distanza, tra semplici militanti, organizzazioni di base, partiti della sinistra che condividano i nostri scopi. E’ appena il caso di precisare che quanto pubblicato non rappresenterà una posizione della associazione, pure se usciranno con la firma collettiva, ma un contributo alla discussione. Chi volesse proporre contributi potrà inviarli all’indirizzo e-mail della associazione: mail@parliamodisocialismo.it.

La pubblicazione sarà sempre a discrezione della associazione.

Di Lionello Fittante, questo articolo è uscito in origine sull'edizione digitale di Left il 16 marzo 2023 e viene proposto con il consenso dell'autore come contributo di discussione.

Potrà riuscire il progetto della nuova segretaria se il partito che dirige non l’ha scelta, cioè è costituito in maggioranza da chi ha votato Bonaccini? Insomma è realistico, credibile il progetto narrato pur auspicabile?

La conquista della segreteria del Pd da parte di Elly Schlein ci offre l’opportunità di fare alcune riflessioni su alcuni aspetti, trascurati, ignorati o non visti sia dai media che, incredibilmente, neanche dai militanti ed elettori che hanno generosamente partecipato al processo congressuale di quel partito.
E diciamo subito che l’esito è il migliore possibile dovendo scegliere tra una personalità che, per postura, narrazione, storia, si presenta come più a sinistra dello sfidante Bonaccini, considerato renziano, anche se, per la verità, la provenienza, in sé, non è una garanzia (per dire, Bonaccini proviene dal Pci). Ma insomma, al momento, in questo scenario, con queste narrazioni, Elly Schlein rappresenta di certo un segnale di novità, d’inversione di rotta, di rinnovamento.

E tuttavia bisogna dire le cose come stanno. Schlein ha sviluppato la propria figura di “giovane speranza della sinistra”, da Occupy Pd in poi, nel segno della costruzione di un soggetto a sinistra del Pd, partecipando a tutto ciò che si muoveva al di fuori di quel partito, dalla più piccola particella elementare ai grandi raduni, incrociati o addirittura promossi (Visione Comune). Così ha raccolto consensi trasversali a sinistra, e di ciò si è alimentata, proponendo sempre come obiettivo la costruzione di un soggetto, al di fuori del Pd, civico, femminista, antifascista. Movimentista trasversale, si potrebbe dire.
Eppure d’improvviso (d’improvviso?) a settembre decide di candidarsi quale indipendente nelle liste del Pd per prenderne due mesi dopo la tessera e candidarsi a segretaria.
È come avesse detto: contrordine compagni, inutile cercare di costruire un soggetto al di fuori del Pd, dobbiamo entrarci.

Un cambio di strategia, e di prospettiva, notevole, da testa-coda. Che ricopia del tutto la posizione di Articolo 1 che fin dalla sua uscita ha avuto, molto criticata a sinistra, dapprima velatamente poi dichiaratamente, l’obiettivo del rientro nel Pd de-renzizzato. Solo che Articolo1 non è stato capace di costruirsi quale riferimento per il mondo variegato della sinistra, tanto che il suo rientro, pur avvenuto, è passato sottotono, in sordina, senza suscitare il minimo entusiasmo che invece ha suscitato la scelta di Elly Schlein, nonostante il suo leader, Roberto Speranza, sia stato il “miglior ministro della Salute” della Repubblica.
Al netto di mille considerazioni possibili, non si può non vedere come la scelta operata da Schlein sia di fatto un radicale ripudio di quanto in questi anni predicato e che l’hanno, appunto, fatta crescere come figura di riferimento della sinistra.

Niente di male e pure legittimo. Tuttavia è strano che nessuno abbia colto questa nota, tanto da mobilitare militanti delle formazioni esistenti a sinistra, di Sinistra italiana ad esempio, alla partecipazione al voto alle primarie. Tutti entusiasti della vittoria: Elly Schlein come una di noi alla conquista del Moloch.
Ma, non scordiamolo,  ha vinto alle primarie aperte, non certo in quelle di partito, appunto per l’apporto non trascurabile del mondo al di fuori del partito, alla sua sinistra.

Quali scenari possibili ora? Se Schlein riuscirà a trasformare il Pd in quello che finora non è mai stato, cioè un partito di sinistra, non potrà che prosciugare i pur piccoli mari in cui galleggiano le piccole formazioni di sinistra. Che non è un male, tutt’altro: l’esistenza di un grande partito di massa di sinistra giustifica anche la scomparsa delle sigle piccole e minoritarie finora esistenti. Cosa che in fondo ci auguriamo da sempre. I primi segnali vanno già in questa direzione: i primi sondaggi vedono una ripresa del Pd ed una pari perdita di consenso ad esempio, di Verdi-Sinistra italiana. Però ai militanti che con entusiasmo hanno affollato i gazebo, va detto chiaro che, in caso di successo politico del “nuovo” Pd, la sorte è segnata. Quindi vale la pena riflettere per tempo se e come caratterizzare la propria esistenza.

Ma se quella è la “speranza”, d’altro canto, potrà riuscire il progetto Schlein se il partito che dirige non l’ha scelta, cioè è costituito in maggioranza da chi ha votato Bonaccini? Insomma è realistico, credibile il progetto narrato pur auspicabile?
Certo, ora è il momento dell’entusiasmo, dell’unità proclamata. Ma una caratteristica del Pd è proprio “l’unanimismo” che accoglie ogni volta il nuovo segretario: tutti bersaniani contro Renzi, poi tutti con Renzi il rottamatore, tutti con Zingaretti la riscossa di sinistra del dopo Renzi, poi tutti Lettiani. Non sorprende che ora siano tutti per Shlein.
Del resto queste sono le regole del Pd. Viene da pensare che se a suo tempo avessero concesso la tessera a Grillo, forse in epoca di montante grillismo avrebbe potuto diventarne segretario. E se Renzi non fosse uscito, forse sarebbe ancora lì.
Tuttavia questo è il quadro, e non si può ignorare.

Se Schlein vuole davvero trasformare il Pd in un grande partito di sinistra, e con ciò recuperare e portare a sé i delusi, gli astensionisti di sinistra, persino gli elettori alla propria sinistra, che hanno contribuito alla sua affermazione, dovrebbe scontare, mettere in conto, la fuoriuscita contemporanea di chi non ha questa visione. Non parlo di scissioni, ma di certo di un distacco di quella parte di elettorato che in questi anni ha votato Pd proprio perché “moderato” e non “radicale”.
È pensabile che la “svolta” a sinistra possa realizzarsi appieno se hai a che fare con un partito, non solo militanti ma apparato, che per buona parte remerà contro? È insomma il Pd riformabile, o per sua “natura” è condannato alla “mediazione” continua?
Qui si vedrà la forza, caparbietà e sincerità della proposta Schlein: fino a quanto vorrà, potrà, riuscirà a spingersi?
Certo, sentire Franceschini, suo sostenitore, che parla della necessità del Pd di essere più “radicale” fa una certa impressione.

Allora su questo un’ultima riflessione viene da un interessante articolo, apparso qualche tempo fa su Repubblica, del politologo Carlo Galli in cui spiegava che riformismo non è il contrario di radicalismo, tutt’altro. Il riformismo ha rappresentato storicamente una scelta diversa, rispetto a quella rivoluzionaria, quale metodo per sovvertire lo status quo e pervenire, gradualmente, ad un medesimo orizzonte, il socialismo. Il riformismo perciò è sempre critica radicale alla società che però si vuole sovvertire attraverso non già la rivoluzione, ma attraverso riforme (in Italia le famose “riforme di struttura”). Il riformismo cambia natura con Blair, diventa “moderato”, cioè accetta lo status quo, non si pone l’obiettivo di trasformare la società, ma di gestirla.
La vera contrapposizione non è quindi tra riformismo e radicalità, ma tra riformismo e moderatismo.
Quindi siamo al dunque: il Pd potrà mai essere il partito “radicale” che auspichiamo, o restare “moderato”?

Certo l’inizio è ambiguo perlomeno: da un lato una Direzione con gente nuova, fresca, interessate, spesso di spessore. Dall’altro la conferma del sostegno dell’invio di armi all’Ucraina con la semplice aggiunta, generica, scontata, insufficiente, che si auspicano iniziativa diplomatiche (quali? Dove? Con chi? Le promuove?). E poi da un lato il no all’autonomia differenziata leghista, è anche un no all’autonomia differenziata comunque declinata? O la si coniuga in modo diverso, e quale?
Insomma, siamo all’inizio di un percorso, non possiamo che augurarci vada a buon fine. Ci si muove tra illusioni, speranze, vecchie e nuove ambiguità, vecchi e nuovi opportunismi (quanti pronti a saltare sul carro del vincitore). La speranza in fondo è che il tutto non si traduca in un “vorrei ma non posso”.
Se il Pd saprà essere “riformista radicale” in fondo sarebbe anche una vittoria di chi radicale lo è sempre stato, per molto tempo “colpa” imperdonabile.
Viene difficile vedere Franceschini radicale, come molta nomenclatura piddina, ma non mettiamo limiti alla Provvidenza, che ancora una volta ci ha inviato l’uomo, anzi donna, giusta.

L’autore: Lionello Fittante, tra i promotori degli Autoconvocati di Leu, è ex membro del Comitato nazionale del movimento politico èViva

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *