Prima sul 25 aprile celebrato a Cuneo, terra partigiana e antifascista per antonomasia, sabato sul primo maggio anticipato a Reggio Emilia in un discorso sul valore fondativo del lavoro nella nostra Costituzione. Il Presidente Mattarella sembra dedito a cogliere ogni celebrazione di Feste civili nazionali fondative della nostra Repubblica per affermare una visione diversa e opposta da quella della premier Giorgia Meloni. Chissà cosa dirà il 2 giugno festa repubblicana per eccellenza, temono i post fascisti.

L’altro ieri alcune affermazioni presidenziali erano palesemente in contrasto anche con la visione di lorsignori liberal liberisti che insieme al ministro leghista Giorgetti si crogiolavano nella crescita del Pil italiano. Una crescita che, come si sa, non vuol dire assolutamente nulla come indice del benessere italiano, basterebbe ricordarsi in proposito del discorso del marzo 1968 di quel pericoloso comunista bolscevico che fu Robert Kennedy.

Mattarella ha sottolineato che “La precarietà come sistema stride con le finalità di crescita e di sviluppo”. Cosa questa assai diffusa in Italia e che la Meloni ha esteso oggi nel suo decreto sul lavoro. Il Presidente ha invitato a respingere “l’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre una esistenza decente” per cui, ha detto, “è necessario affermare con forza, invece, il carattere del lavoro come primo, elementare, modo costruttivo di redistribuzione del reddito prodotto”. Con l’inflazione corrente che si mangia salari e pensioni, la considerazione presidenziale è un cazzotto in faccia alla destra e a lorsignori che predicano la “moderazione salariale”. Il decreto lavoro sfornato il primo maggio dalla Meloni ribadisce il contrasto di fondo con quanto detto dal Presidente della Repubblica.

Il discorso di Mattarella ha declinato in tutti i suoi elementi civili, nazionali, unitari e democratici il valore del lavoro dentro prospettive sempre più mutanti grazie a un’innovazione tecnologica vieppiù permanente. Non è mancato anche un riferimento all’art. 37 della Costituzione sugli stessi diritti della donna lavoratrice, alla piaga degli infortuni sul lavoro, allo sfruttamento minorile e degli immigrati. Centrale è stata la costatazione del Presidente circa la lontananza persistente, nonostante le conquiste fatte, fra i precetti della Costituzione e la realtà del mondo del lavoro e la situazione sociale dei lavoratori.

Un discorso completo, chiaro e giusto, alternativo alle pratiche del governo di Giorgia Meloni.

Però anche un discorso, come altri su altri argomenti fatti recentemente, che richiede che il Presidente non si limiti più solo alla moral suasion e faccia qualcosa di più quando deve firmare i decreti governativi della destra o le leggi che vanno in direzione opposta a quella propugnata dalla nostra Costituzione. I suoi poteri presidenziali, si sa, non possono bloccarli; una volta rimandati alle Camere se tornano dal Presidente tal quali o con qualche modifica marginale, Mattarella deve controfirmarli. Ma rimandare alle Camere quei provvedimenti, almeno quelli più contrari agli articoli della Costituzione, accompagnandoli con messaggi motivati, sarebbe di grande aiuto al discorso pubblico sull’osservanza della nostra Carta fondamentale.

Della cui osservanza, non lo si dimentichi, il Presidente è garante.

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