Sono passati ottanta anni dall’attacco gappista partigiano a via Rasella. La storia e la giustizia hanno già dato il loro giudizio. Fu, come certificò la Cassazione in sede giudiziaria, un “legittimo atto di guerra” non contro una banda di “pensionati musicisti”, come ha cercato di dire recentemente il neo e post fascista Presidente del Senato La Russa, ma contro un reparto di SS armato di tutto punto che marciava cantando e con il colpo in canna in una città ferocemente occupata da 7 mesi dai nazisti tedeschi e dai collaborazionisti fascisti.

Tuttavia nel dopoguerra fino ai giorni nostri la destra neo e post fascista ha cercato di intorbidare le acque spargendo varie menzogne su quella battaglia partigiana, compresa quella, molto usata, dei partigiani che non si erano presentati al gentile invito nazista per impedire il crimine di guerra germanico delle Fosse Ardeatine perpetrato in tutta segretezza il giorno dopo.

Ci fu un lungo strascico giudiziario con l’intento di mettere in cattiva luce quel “legittimo atto di guerra” sempre respinto dalle sentenze della Magistratura. “Legittimo atto” di guerra perché non ci fu solo la bomba ma una vera e propria battaglia condotta da un gruppo di gappisti che dopo l’esplosione del carrettino dei rifiuti attaccarono con bombe e mitra le SS. Alcuni partigiani, come Rosario Bentivegna e Carla Capponi, che ebbero un ruolo in quella battaglia – Bentivegna accese la miccia della bomba – furono insigniti dalle autorità dello Stato di medaglia d’argento il primo e d’oro la seconda per tutta la loro azione partigiana svolta a Roma nei 271 giorni di occupazione terroristica nazifascista di Roma di cui l’atto più forte fu senza dubbio l’attacco di via Rasella.

Ma perché c’è stato lo strascico giudiziario e politico nei decenni passati?

La radice politica è da ricercarsi nell’infame comunicato che il Vaticano per intervento diretto di Pio XII fece dopo quello famigerato dei nazisti dove si avvertiva, già il giorno dopo la strage su “il Messaggero” diretto dal fascista Bruno Spampanato, che “l’ordine è già stato eseguito” assassinando 320 “comunisti badogliani” che in realtà furono 335.

Era la strage delle Fosse Ardeatine, compiuta in tutta segretezza che i nazisti tentarono di occultare. Il segreto fu funzionale sia al timore di una sollevazione di Roma sia, e ancor più, a spargere il terrore fra la popolazione romana.

Il comunicato pubblicato da “L’Osservatore Romano” il 26 marzo – “Trentadue vittime da una parte: trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto” – dava la responsabilità politica e morale della strage e del crimine di guerra nazista delle Fosse Ardeatine ai partigiani. A ciò si aggiunga che a Roma l’attesismo in tutte le sue gradazioni ebbe una certa consistenza durante i 271 giorni di occupazione nazifascista. È in questa palude maleodorante, conservatrice e anche reazionaria, che hanno potuto navigare le menzogne, le dicerie, le denigrazioni e gli stravolgimenti della realtà della destra.

Dopo l’attacco, che rendeva eclatante che a Roma i partigiani combattevano aspramente e che la città non era affatto un porto sicuro per i nazifascisti, i bombardamenti alleati cessarono.

Gli stessi Alleati, inchiodati sui fronti di Cassino e di Anzio, applaudirono l’attacco. Avevano sempre chiesto, del resto, che la Resistenza attaccasse senza tregua le truppe tedesche.

Solo Pio XII se ne adontò perché inseguiva la chimera di “Roma città aperta” e la battaglia di via Rasella – ma tutta la Resistenza militare svolta nella capitale dai partigiani – lo disturbava nei suoi intenti di accomodamento “equidistante” con i tedeschi.

Roma ha combattuto aspramente in quei nove mesi. Lo riconobbe anche l’SS colonnello Eugen Dollmann dicendo che fra le grandi capitali europee occidentali era stata la città che aveva dato ai nazisti “più filo da torcere”.

Il conferimento a Roma della medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza da parte del Presidente Mattarella nel 2018 è stato meritato nonostante il ritardo con cui è avvenuto.

Fotografia in evidenza tratta da Wikimedia Commons, prima pagina de “L’Unità ” clandestina del 30 marzo 1944, Pubblico Dominio

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