Abbiamo detto di “salire in politica” la prima volta che ci siamo rivisti in una riunione al Circolo E. Berlinguer di Roma. Le nostre strade si erano divise da anni, ma la nostra voglia di partecipazione non si era mai affievolita e dopo pochi minuti di discussione, abbiamo capito che dopo la nostra militanza comune negli anni ’70 e ’80 nel PCI, avevamo ancora parecchie cose da dire e che quel senso di “comune sentire”, ci tornava naturale, mano a mano che la discussione andava avanti. Nessuno di noi aveva trovato una collocazione gratificante ed esaustiva delle proprie tensioni morali e politiche; eppure quel sentirsi “militanti” era rimasto intatto, nel posto di lavoro, nelle discussioni familiari e sociali.

Abbiamo deciso che quella nostra “cultura politica”, fatta di tante esperienze vissute, di lotte, di battaglie, doveva essere presente, come un’oasi, nella desertificazione che il nostro sistema politico ci offre da decine di anni. Così nasce il gruppo Parliamo di Socialismo, un gruppo dove sono presenti diverse sfumature della sinistra storica, i cui imperativi di fondo sono: ascoltarsi a vicenda e costruire un nuovo percorso della nostra parte politica.

Convenimmo subito che le esperienze vissute erano finite nei fatti, ma che allo stesso tempo non era mai decollata un’altra grande idea di cambiamento della società, ossia quei valori, idee, programmi che necessitano per superare la società capitalista.

La nostra convinzione è che per costruire un futuro di pace, di giustizia sociale e di rispetto della natura non è necessaria solo una generica forza di sinistra, ma che la stessa debba puntare decisa ad un sistema economico e sociale diverso ed alternativo a quello attuale.

Tale forza si deve ricongiungere alle grandi tradizioni del pensiero socialista italiano; deve costruire analisi, progetti e programmi che analizzino la società presente e pongano le basi per quella futura; deve dar vita a forme, metodi e strutture, volte non solo a creare il conflitto sociale, ma a riportare la partecipazione democratica assente da anni nel nostro Paese o troppo frammentata per incidere sulle grandi scelte politiche. Solo un grande partito di massa di sinistra può adempiere a questa che definirei una mancanza anticostituzionale. Solo una grande forza popolare con una forte cultura socialista ed ecologista, nella quale migliaia di persone si ritrovino a sperimentare e immaginare il futuro, può essere la forza motrice per il rinnovamento e il cambiamento non più rinviabili.

Bisogna prendere atto che tutti i tentativi intrapresi nella cosiddetta “seconda repubblica” sono stati fallimentari e hanno bloccato il sistema politico e le stesse basi della democrazia.

Gli appelli salvifici per una democrazia dell’alternanza, il sistema elettorale maggioritario che avrebbe garantito l’alternativa tra destra e sinistra, la scomparsa dei piccoli partiti, del voto clientelare sono stati la più grande mistificazione politica degli ultimi anni, volta a cancellare il conflitto sociale e ad instaurare la teocrazia del pensiero unico e gli affari dei poteri economici che sponsorizzano i vari partiti. Si guardi, per esempio, alle grandi opere e le “emergenze” equamente spartite tra gli attori “belligeranti”. A dimostrazione di tutto questo fu la rapida cancellazione del sistema maggioritario con il collegio uninominale che, pur non essendo esso stesso espressione delle indicazioni Costituzionali, permetteva di eleggere un rappresentante conosciuto e raggiungibile dagli elettori. Tutto ciò con l’unico scopo di tenere accentrato in poche e sicure mani il potere politico. Tutti i tentativi di fusione a freddo, di sommatoria di sigle, di presunti leader inventati, senza l’ombra di una discussione ed una partecipazione seria, senza valori condivisi e scelte di parte, sono falliti.

Anche la sacrosanta richiesta di milioni di cittadini, di pulizia, di aspra critica verso il sistema dei partiti esistenti, di rinnovamento della politica espressa con il voto al M5S, è risultata sterile, portando il conflitto su un terreno di mero cambiamento della rappresentanza, senza affrontare il gigantesco scontro di classe, seppur in forme e modi completamente nuovi, che ha portato all’impoverimento materiale e dei diritti delle classi subalterne.

Ricordiamo un po’ di storia recente.

Prima dell’avvento dell’attuale sistema politico le forze in parlamento erano una dozzina, ora siamo arrivati a una ventina, con il “mercato delle vacche”, usato per il cambio delle maggioranze politiche, ormai ufficializzato e reso normalità nel corso dell’ultima crisi di governo. Il gruppo misto è divenuto, per numero, il 4° gruppo alla Camera. La maggioranza dei partiti hanno dei gruppi parlamentari il cui nome non è mai apparso in una scheda elettorale, che non hanno mai direttamente preso un voto dagli elettori, nascondendosi molto spesso nelle cosiddette coalizioni e dove qualche “leader”, eletto in una diversa forza politica, si permette di determinare le sorti dei governi in caduta e di quelli in salita. Sfido chiunque, in una democrazia che costituzionalmente è della rappresentanza, a dirmi qual è il parlamentare da lui eletto alle ultime elezioni. Tutti gli eletti sono stati decisi e candidati da pochi. Nei partiti sono due, tre, quattro persone a prendere decisioni che riguardano la comunità e gli organismi dirigenti si auto eleggono: l’ultimo caso è quello dell’elezione di un segretario al telefono, senza discussione e partecipazione degli iscritti. I congressi, le primarie, le parlamentarie, nascono e si sviluppano senza un accorto controllo democratico e senza una seria e partecipata discussione sui programmi, con i candidati che non sono quasi mai espressione di battaglie interne ed esterne ai partiti.

Tutti quelli che votano, lo fanno per il meno peggio, per simpatia, per mal di pancia, per rancore, per singole prese di posizione. Quasi la metà dell’elettorato non si presenta alle urne e solo il 6% dei cittadini ha fiducia nel Parlamento italiano.

Molto spesso, data l’inadeguatezza della nostra classe dirigente, si ricorre ai “tecnici”, ai “professori”, ai “migliori”, decretando che le forze politiche attuali non sono in grado di esprimere né scelte, né responsabilità, né adeguatezza, nel momento in cui ci sono decisioni importanti da prendere per milioni di cittadini. La realtà è che la politica non è più lo strumento di partecipazione ed elaborazione delle scelte, ma la sommessa esecutrice delle teorie economiche e sociali, austere con le classi subalterne e indulgenti e bonarie con i ceti più agiati.

Eppure nella società sono presenti moltissime realtà di intelligenze, esperienze, pratiche politiche e associative che restano inespresse e che non trovano uno sbocco organizzativo che le coinvolga nel conflitto delle idee, nella sperimentazione e nell’immaginazione degli scenari futuri che la nostra società richiede. (continua…)

Un pensiero su “Riflessioni su un Partito di sinistra e sulla sua forma – e1”

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