Parliamo di Socialismo è un’associazione che nasce con il proposito di dare un significativo contributo nel tentativo di sviluppare un dibattito, per ricostruire una sinistra che partendo dalle sue tradizionali radici sappia cogliere i profondi cambiamenti che in questi ultimi cinquant’anni hanno profondamente modificato i rapporti sociali. Pensiamo che le tante divisioni che hanno lacerato la sinistra debbano oggi essere messe definitivamente da parte per lasciare spazio ad un dibattito costruttivo, che ridia la parola a tutti coloro che vogliano rimettere in campo le loro energie per cambiare questo stato di cose. Vogliamo ripartire dal basso dalla gente comune rimettere al centro una visione della politica che torni ad essere la molla per avviare un processo di cambiamento e non più l’avvilente e degradata funzione cui è stata ridotta. La politica deve fornire un contributo di idee e delle linee guida che stabiliscano gli indirizzi generali sui quali costruire lo sviluppo di un paese. Gli scienziati possono arricchire la conoscenza dei problemi, fornire gli strumenti più adatti e le tecnologie più innovative; i tecnici darci i pareri e le coordinate perché una ipotesi possa essere sfruttata al meglio fornendoci i dati e le possibili soluzioni, per la realizzazione, ma la scelta su cui elaborare il modello di sviluppo deve essere fatta dalla politica.

Perché la politica è “… la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica…” come recita ogni vocabolario. Insomma qualcosa che da anni è stato abiurato in Europa e in Italia e nel mondo per far posto ad un mercato senza più regole, che oggi è la più alta (secondo noi la più bassa e degradante) espressione del capitalismo, quello che viene definito liberismo, dove non si tiene più conto dei valori, della cultura, della storia di un paese , dove non si tiene conto del benessere di una popolazione, delle sue necessità e di un soddisfacente livello di vita di tutti, ma si risponde solo al dio denaro.

Crediamo che davanti a ciò, bisogna cercare di unire tutte quelle forze che, seppure possono avere diverse ispirazioni ideali e politiche, hanno compreso appieno che da questa situazione se ne esce solo con un programma che parta dai problemi che hanno necessità di immediata soluzione. Oggi la prima necessità è quella di avviare una vera transizione ecologica, e l’intervento di Marco Bersani lo individua con precisione; scritto che ha inizio rimettendo in discussione le scelte economiche, ed evidenzia come con l’emergenza di sostituire il gas russo si va esattamente in direzione opposta; rimettendo in funzione gran parte delle fonti inquinanti e aumentando a dismisura i costi ( anche quelli sociali) per la fornitura di energia.

L’appello conclusivo che mette al primo posto la pace e ci vede totalmente e incondizionatamente d’accordo, così come il capoverso in cui si afferma che: “ Si tratta di uscire dall’economia del profitto, che rende i beni comuni merci e non ricchezza collettiva. Si tratta di uscire da un modello in cui sono i mercati finanziari e non il benessere delle persone a decidere il valore delle cose…”

Per questi motivi noi condividiamo questo appello che rilanciamo. Ma vogliamo anche proporre che questo sia il primo punto di un programma comune, più ampio e condivisibile che unisca le forze della sinistra e che si battono per un’inversione di tendenza e le veda lavorare insieme alla sua costruzione.

Di seguito il testo dell’Appello di Marco Bersani del 21 aprile 2022


Caro Presidente Draghi, vogliamo la pace e le comunità energetiche

di Marco Bersani, Attac Italia 

Caro Presidente Draghi, chissà se quando ha pronunciato la famosa domanda “Preferite la pace o i condizionatori accesi d’estate?” era consapevole di riproporre agli italiani l’alternativa di mussoliniana memoria “Volete burro o cannoni?”. C’era un indubbio cinismo nel Suo quesito, che rivela almeno tre aspetti, se posso, poco piacevoli della Sua cultura politica di fondo. Il primo è la Sua natura di classe, quando, in un Paese dove oltre 10 milioni di persone vivono in povertà, indica come bene di prima necessità il condizionatore acceso. Il secondo è la Sua profonda ignoranza della crisi eco-climatica, quando, dentro quel desiderio di condizionatori eternamente in funzione, segnala la sua fiducia fideistica nella crescita. Il terzo è la modalità di governo che sottende, quando addita, come già fatto per il debito e per la pandemia, i comportamenti individuali come causa principale dei problemi del mondo.

Sarebbe semplice ribatterLe con una riformulazione della domanda: “Preferisce la pace o i profitti dell’Eni?”, perché a questo Lei pensa, quando finge di intrattenerci sui condizionatori accesi. Ma il quesito, al di là delle Sue intenzioni, ha una sua importanza, perché interroga tutte e tutti noi sul modello sociale di riferimento. Provo, nella mia modestia, a illustrarLe brevemente il contesto in cui siamo.

“Nel periodo 2010-2019, le emissioni medie annue globali di gas serra sono arrivate ai livelli più alti della storia umana. In mancanza di forti e immediate riduzioni alle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (2,7°F) sarà fuori portata”. Si apre così il comunicato stampa sull’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Changes (IPCC), presentato lo scorso 4 aprile, nell’indifferenza più totale Sua e di tutte le classi dirigenti, per non parlare dei grandi mass-media, tutti arruolati nella nuova guerra al centro dell’Europa e tutti pronti a fare marcia indietro su ogni tentativo anche labile di avviare una vera transizione ecologica.

Sicuramente sarà a conoscenza di cosa prevede il piano, anticipato il 28 marzo scorso da Thierry Breton, commissario Ue per il mercato interno, sulla sostituzione dei 155 miliardi di metri cubi di gas che l’Ue importa annualmente dalla Russia. Le riassumo i punti: a) l’allungamento dell’operatività delle centrali nucleari e a carbone già destinate alla chiusura; b) la riattivazione di centrali a carbone già chiuse; c) l’aumento delle forniture di gas naturale liquefatto via nave; d) l’aumento dei flussi del gas di provenienza non russa, attraverso i gasdotti dall’Africa e dal Corridoio Sud; e) il passaggio delle industrie energivore dall’alimentazione a gas all’olio combustibile; f) lo sviluppo del biometano, eolico e solare.

Converrà, caro Presidente Draghi, sull’evidenza dei drammatici costi ecologici di una tale strategia energetica, per cui, ben al di là della scelta sull’utilizzo o meno dei condizionatori, serve una radicale inversione di rotta. Inversione ancor più necessaria se guardiamo anche ai costi sociali di un modello energetico privatizzato e in mano a colossi multinazionali e mercati finanziari. Già, perché, fuori dalla narrazione dominante che anche Lei alimenta e che spiega lo spropositato aumento delle bollette energetiche come effetto diretto del conflitto, Lei sa meglio di me come la causa risieda nelle speculazioni che le grandi industrie del petrolio e del gas, le banche e i fondi di investimento stanno facendo sulla volatilità del costo di queste materie prime, dovuta prima alla pandemia e ora alla guerra. Ma vogliamo fare, infine, un accenno anche ai costi democratici di queste scelte? O vorrà farci credere che il gas comprato dal dittatore egiziano Al-Sisi o dal Qatar, a differenza da quello comprato da Putin, sia equo e solidale?

Vogliamo la pace, caro Presidente Draghi, e, per averla, dobbiamo rovesciare il sistema del quale Lei si è autoproclamato alfiere. Non si tratta solo del necessario e urgente passaggio dalle fonti energetiche fossili alle energie rinnovabili. Si tratta di uscire dall’economia del profitto, che rende i beni comuni merci e non ricchezza collettiva. Si tratta di uscire da un modello in cui sono i mercati finanziari e non il benessere delle persone a decidere il valore delle cose. E si tratta di uscire da un modello energetico fondato sui grandi impianti e le grandi infrastrutture, per riappropriarsi dei beni comuni e gestirli in forma partecipativa.

In una parola, occorre andare verso una società che produca meno energia contro una società che fa della dissipazione il proprio motore economico e verso una società che produca energia “pulita, territoriale e democratica” contro una società che produce energia “termica, centralizzata e militarizzata”.

Vogliamo le comunità energetiche, caro Presidente Draghi, che autoproducano dal basso e in maniera associata l’energia necessaria a un contesto di vita solidale, che assuma come fondamentale il benessere delle persone e non il profitto individuale, che consideri l’ecologia degli oggetti e non lo status che ne deriva dalla loro appropriazione illimitata.

Tutte cose che lei, caro Presidente Draghi, non può comprendere. Per questo dovremo riempire le piazze e saperglieLe imporre. Ne va del futuro di tutti. Compreso il Suo.

Link alla pagina di Attac Italia

Foto di Harri Vick da Pixabay

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