25 luglio 1943

Sono trascorsi ottant’anni dal 1943. La memoria va vivificata; non si può ritenere di vivere in un eterno presente come se quel passato, così tragico per il nostro paese, dovesse essere messo in soffitta. Cogliere nella Resistenza di Napoli e del Sud, dopo Porta San Paolo a Roma, il punto di avvio del movimento che portò alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo significa legare quel momento alla vicenda che lo precedette e di cui fu la naturale, spontanea, popolare conseguenza. Sono tre articoli, che presenteremo in tre parti, comparsi su «La Rinascita della sinistra» nel 2003 e che vengono riproposti con alcune integrazioni di cui ringrazio il compagno Roberto Del Fiacco.
La seconda parte (8 settembre 1943) sarà pubblicata domenica 24 settembre, la terza (Le quattro giornate di Napoli, 27-30 settembre 1943) sabato 30 settembre

Nell’ottobre del 1922 il partito fascista aveva conquistato il potere grazie ad un colpo di Stato ordito dalla Corona; il 3 gennaio del 1925, al termine della crisi iniziata con la scoperta del cadavere di Giacomo Matteotti, Mussolini si presenta in Parlamento con un discorso che decreta l’inizio del vero e proprio regime dopo aver incassato la firma in bianco del sovrano ad un decreto di scioglimento delle Camere; il 25 luglio del 1943 un nuovo colpo di Stato determina la caduta del fascismo.

Come si arriva al 25 luglio? Nel marzo ed aprile del 1943 ci furono i grandi scioperi nelle fabbriche del Nord che videro coinvolti più di centomila lavoratori e che rappresentarono la prima spallata al regime fascista. Il 13 maggio si concludeva la guerra d’Africa con la sconfitta delle truppe italo-tedesche. L’11 giugno il presidio militare di Pantelleria si arrendeva agli Alleati lasciando intendere l’imminenza di uno sbarco in Sicilia. Il 24 giugno Giovanni Gentile pronunciava in Campidoglio un discorso rivolto agli italiani, e non solo ai fascisti, richiamandoli alla disciplina, alla resistenza, al combattimento, alla concordia nazionale; nel discorso, comunque, aleggiava un senso di sconfitta imminente. Lo stesso giorno Mussolini pronunciava al Direttorio nazionale del Pnf un discorso, pubblicato soltanto il 5 luglio, in cui si manifestava l’intenzione di fermare gli Alleati, al momento dello sbarco, sulla linea del “bagnasciuga” (confondendo il bagnasciuga, che è la linea di immersione delle navi, con la battigia, che è la linea di contatto fra il mare e la terra); il capo del fascismo sentenziava: “E se per avventura dovessero penetrare [gli Alleati], bisogna che le forze di riserva – che ci sono – si precipitino su questi individui, annientandoli sino all’ultimo uomo. Di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra Patria, ma l’hanno occupato rimanendo per sempre in posizione orizzontale, non in posizione verticale”. Detto e fatto, il 10 luglio gli Alleati sbarcavano in Sicilia mettendo in evidenza tutta la debolezza del sistema difensivo italiano: gli inglesi di Montgomery avanzavano fra Catania e Messina, mentre gli americani di Patton erano a Palermo il 22 luglio (il 27 agosto l’occupazione della Sicilia sarà ultimata con la conquista di Messina e il ritiro delle residue forze italo-tedesche in Calabria).

Nell’incalzare degli eventi comincia a prendere forma la congiura antimussoliniana; il 15 luglio il re, appena rientrato dalla sua residenza estiva di San Rossore ed informato dello sviluppo delle vicende belliche, convoca il maresciallo Badoglio invitandolo a dichiarare la disponibilità ad assumere la carica di capo del governo in sostituzione di Mussolini. Il maresciallo accetta e propone al sovrano la costituzione di un governo in cui, come gli era stato suggerito appena il giorno prima da Bonomi, siano presenti rappresentanti dell’antifascismo; su questo punto Vittorio Emanuele mostra il massimo dell’intransigenza: niente antifascisti, da lui considerati dei révenants, degli spettri. Sarà il ministro della Real Casa duca d’Acquarone a suggerire il nome di qualche uomo di prestigio (nella fattispecie Leopoldo Piccardi, consigliere di Stato), di idee liberali, che potesse far parte del futuro esecutivo.

Il 16 luglio Carlo Scorza, segretario del Pnf, su ordine di Mussolini, riunisce a Roma un gruppo di gerarchi (alla riunione non partecipò Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni che aveva sempre mostrato notevole scetticismo sull’alleanza italo-tedesca) per incaricarli di tenere comizi nelle maggiori città italiane al fine di invitare i cittadini alla resistenza nei confronti dell’attacco nemico. La riunione si trasforma in una richiesta di chiarimento intorno ai modi con cui era stata condotta la guerra fino a quel momento da parte di uomini che, soprattutto negli ultimi tempi, erano stati lasciati ai margini della vita politica del regime. Il gruppo viene ricevuto dal duce che, incassando le critiche nei suoi confronti, promette la convocazione del Gran Consiglio (divenuto istituzione dello Stato con la legge del 9 dicembre del 1928 n. 2693, doveva riunirsi una volta al mese ma non era stato più convocato dal 1939); si trattò, stando alle parole dello stesso Mussolini, di un “pronunciamento”.

Qualche giorno dopo, precisamente il 19 luglio, in una villa presso Feltre, Mussolini incontra Hitler: il duce non trova le parole per dire al führer che l’Italia non è nelle condizioni di continuare la guerra, che è quasi un obbligo sganciarsi dall’alleanza; Hitler promette aiuti a patto che gli italiani avessero presidiato saldamente l’Italia peninsulare lasciando ai tedeschi la difesa del Nord (la prefigurazione di quella che poi sarebbe stata la linea gotica). Lo stesso giorno i bombardieri alleati terrorizzano il quartiere romano di San Lorenzo procurando oltre 1.200 morti e migliaia di feriti. Sul posto accorrono sia il papa sia il re e la regina. Avvisato dell’esito del colloquio di Feltre dal capo di stato maggiore Ambrosio, che era con Mussolini, il sovrano prende la decisione di dare esecuzione al colpo di Stato.

Parallelamente si muove Grandi. Arrivato a Roma il 20, porta a conoscenza del sovrano, attraverso una missiva inviata al suo primo aiutante di campo generale Puntoni, l’ordine del giorno che presenterà nella seduta del Gran Consiglio. Dà informazione del testo ad alcuni gerarchi, fra cui Scorza, il quale rende edotto il duce. II 22 Grandi incontra Mussolini e lo invita ad accettare la sostanza del suo odg senza convocare il Gran Consiglio; Mussolini si mostra sicuro del fatto che la guerra è tutt’altro che perduta e rinvia Grandi alla discussione nella Sala del Mappamondo a Palazzo Venezia per il pomeriggio del 24.

Grandi, con Bottai e Ciano, lavora di lima per rivedere l’odg proponendo non soltanto la restituzione al sovrano da parte di Mussolini dei poteri militari, ma anche di quelli politici.

Il 24 luglio alle 17,15 inizia il Gran Consiglio. Vengono presentati tre odg: quello di Grandi, che prevede la restituzione al sovrano della “suprema iniziativa di decisione”, sottoscritto da 15 membri del Gran Consiglio; quello di Farinacci che prevedeva il rispetto dell’alleanza con i tedeschi; quello di Scorza, preparato durante una pausa dei lavori, che parlava in maniera generica di “riforme e innovazioni”. La discussione fu aspra e dura, come si evince, in mancanza di verbali, dalle testimonianze. Alle 2,00 del 25 luglio Mussolini mette in votazione l’odg Grandi in quanto presentato per primo: 19 voti favorevoli (durante la notte Cianetti si pentì e inviò immediata comunicazione scritta a Mussolini del suo ravvedimento), 1 astenuto (Suardo che aveva annunciato di ritirare la firma apposta all’odg), Farinacci vota il suo odg, 7 voti contrari. Mussolini sciolse la seduta alle 2,40 dichiarando che avrebbe portato l’odg approvato al sovrano.

Nella notte Grandi incontrava Acquarone al quale consegnava l’odg votato e la seguente dichiarazione da consegnare al re: “Occorre nominare un nuovo governo. Quale presidente della Camera suggerisco, come primo ministro, il maresciallo Caviglia, semplicemente perché egli è stato l’unico tra i marescialli della prima guerra mondiale non compromesso col regime fascista. Indico, quale ministro degli Esteri, la persona di Alberto Pirelli il quale gode di unanimi simpatie in Inghilterra e in America, e che potrà meglio di ogni altro stabilire con gli alleati contatti indispensabili per creare una nuova situazione militare e politica”. Seguivano altre indicazioni per la composizione del governo. Il re, però, fece diversamente, soprattutto a proposito dello sganciamento immediato dai nazisti.

Già dal 19 luglio il monarca aveva deciso che avrebbe fatto arrestare Mussolini il lunedì successivo, cioè il 26, approfittando del fatto che era consuetudine del capo del governo recarsi ogni lunedì al Quirinale o a Villa Savoia per la firma reale. Ma c’era stata la decisione del Gran Consiglio per cui Mussolini chiese un anticipo dell’incontro che il sovrano fissò alle 17,00.

Esito votazione OdG De Bono - Grandi scansionato da originale PNF

Esito della votazione su OdG Grandi

Quello che si presentò al cospetto di Vittorio Emanuele fu un Mussolini privo di ogni potere, visto che già alle 11,00 il sovrano aveva consegnato il decreto di nomina a capo del governo a Badoglio. L’ormai ex duce fu arrestato dai carabinieri mentre gli altri gerarchi fascisti, capite le intenzioni del re, si diedero a precipitosa fuga (Farinacci si rifugiò presso l’Ambasciata tedesca; Scorza, dapprima arrestato, fu rilasciato sulla parola).

Alle 22,45 la radio diffondeva il seguente comunicato: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato di Sua Eccellenza Benito Mussolini ed ha nominato Capo del governo, Primo Ministro, Segretario di Stato il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”. Inoltre il re fece trasmettere due proclami con i quali annunciava di assumere il comando di tutte le forze armate e, ordinando a tutti di riprendere il posto di combattimento, avvertiva che “nessuna deviazione” sarebbe stata tollerata. A sua volta Badoglio fece diffondere il seguente comunicato: “Per ordine di S.M. il Re e Imperatore assumo il governo militare del Paese con pieni poteri. La guerra continua. L’Italia, duramente colpita nelle sue province invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file intorno a S.M. il Re e Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio a tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti di turbare l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito. Viva l’Italia, viva il Re”. La durezza delle parole fu efficacemente esplicitata dal governo Badoglio nell’opera di repressione di ogni manifestazione contraria alla guerra; il bilancio: 93 morti, 253 feriti, 2276 arrestati. I quarantacinque giorni iniziavano nel segno inequivocabile della continuità con la più protervamente feroce politica antipopolare e antidemocratica del regime fascista che si pensava di aver accantonato.

Quale il ruolo dei partiti antifascisti nella genesi del 25 luglio?

La risposta la diede Giorgio Amendola: “Quello che volevamo suscitare, un moto di popolo, avvenne effettivamente, ma qualche giorno dopo la notte del 25 luglio; dopo, quindi, e non prima del colpo di Stato del re e dello sciagurato proclama sulla guerra che continua. Tutte le critiche rivolte ai partiti antifascisti, essenzialmente dirette contro il Pci, anche se provengono da comunisti, e che ci rimproverano di aver subito il governo Badoglio, non considerano questo dato di fatto: l’impotenza dei partiti antifascisti, ed anche del nostro partito, a determinare prima del 25 luglio, con il loro intervento, la caduta del regime e la conclusione dell’armistizio”. (Resta il fatto, come già ricordato, che la prima spallata al regime venne dagli scioperi del marzo 1943 all’organizzazione dei quali i comunisti avevano contribuito in maniera determinante). Ma il 25 luglio, in ogni caso, creò il terreno sul quale l’antifascismo, e i comunisti in particolare, costruì quel grande edificio unitario che fu la Resistenza.

Immagine di copertina, soldati italiani prigionieri degli alleati, 1 maggio 1943, Tunisia, fotografo Bernard, fonte: U.S. National Archives – Signal Corps Archive, via Flickr, P.D., ritagliata per ragioni tecniche

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