RITRATTI. Il 4 giugno di 50 anni fa moriva il filosofo e intellettuale ungherese ora seppellito a Budapest. Un percorso nella sua complessa formazione, dalla parte del proletariato

Sono tornato a Budapest qualche tempo fa. Ho ritrovato una città che, da quando avevo svolto la mia attività di borsista presso l’«Archivio Lukács» alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, è molto cambiata.
Ho rivisto quell’appartamento al numero 2 del Belgrad Rakpart, la banchina lungo il Danubio, a pochi passi dal Ponte della Libertà, dove entrai tanti anni fa per la prima volta. Sono tornato a citofonare a quel portone e, pur consapevole del fatto che tutti i materiali dell’Archivio sono stati portati altrove e che, quindi, l’Archivio non riveste più la funzione che prima aveva, ho sperato che qualcuna o qualcuno rispondesse. Nulla. Non rimasi neanche tanto deluso, me l’aspettavo. Allora non mi restava che scattare una foto, di quelle che rimangono nella memoria perché fissano momenti della vita assolutamente indimenticabili: proprio come i mesi da borsista a Budapest. Salii sul Ponte; cominciai a guardare il fiume che scorreva con la stessa sistematicità del pensiero del filosofo, peraltro multo turbolento, che dal 1945 fino alla morte aveva abitato in quell’appartamento del numero 2.

QUELLO SCORRERE, un po’ alla maniera di Eraclito, suggeriva il concetto di una continuità nelle cose e nel mondo che è nel loro superamento incessante. Eppure qualcosa mi portava a pensare che, in ogni caso, noi siamo sempre le scelte che facciamo; insomma più Kierkegaard che i filosofi della dialettica. Il giovane Lukács era stato molto prossimo a Kierkegaard e, tutto sommato, con le scelte che la storia lo aveva costretto a fare nel corso della sua vita, aveva continuato a essere un po’ legato all’universo filosofico della gioventù.

È consuetudine dei borsisti che tornano a Budapest presso l’Archivio, o per proseguire le ricerche o soltanto per un periodo di soggiorno al di fuori dello studio, portare un fiore, preferibilmente una rosa, sulla tomba di Lukács. Mi avviai, quindi, verso il cimitero di Kerepesi dove il filosofo è sepolto e la cui tomba si trova in una zona dedicata ai personaggi legati al movimento operaio e proletario. Mi avvicinai e deposi la rosa quando m i accorsi che tre persone, un uomo, una donna e un giovane, si avvicinavano. L’uomo mi chiese cosa stessi facendo. Gli spiegai il perché fossi lì a compiere quel gesto e, di rimando, mi disse che era il nipote di Lukács, ossia il figlio della figlia naturale del filosofo. Zoltán, questo il suo nome, mi parlò dello stato di abbandono in cui versava quella parte del cimitero ma anche della damnatio memoriae a cui era condannato il nonno. Ci lasciammo con il proposito di tornare a parlare e scrivere di Lukács.

Chi è stato György Lukács (1885-1971)? Rispondere con il solito «uno dei filosofi più importanti del XX secolo» non rende giustizia alla persona, anche se si tratta di una verità piramidalmente incontestabile. È stato un intellettuale di formazione molto complessa, passato attraverso Weber e Simmel, Dostoevskij, Kierkegaard, i mistici tedeschi, prossimo al sindacalismo di Sorel; la presenza di queste contraddittorie tendenze avveniva nel mentre l’Europa e il mondo erano sconvolti dal primo conflitto mondiale e in Russia scoppiava la Rivoluzione nel 1917.

QUESTO SECONDO EVENTO e la prospettiva di una nuova società lo convinsero a operare la scelta di avviarsi, passando per Hegel, lungo la strada del marxismo (Mein Weg zu Marx la definì). Così si collocò, proprio come il nostro Gramsci, da una parte: la parte del proletariato.
Lukács marxista abbandona il suo mondo teoretico giovanile? Sono note le autocritiche e le interviste tendenti a rimuovere quel mondo. Eppure anche in opere del periodo del «socialismo reale» sopravvivono tracce del suo giovanile anticapitalismo romantico. In La distruzione della ragione (1954), ad esempio, l’io angosciato e tormentato rimane solitario a osservare quel deserto che è diventato il mondo a causa delle guerre e delle loro conseguenze; un deserto in cui sopravvivono contraddizioni che non sono esclusivamente del mondo ma che riguardano anche, e soprattutto, l’uomo che vive quel mondo.
Pur fra queste contraddizioni, dall’utopia del mondo nuovo da realizzare attraverso l’azione devastatrice dell’eroe russo dostoevskijano alla realtà manipolata di un socialismo troppo attento a porsi soltanto come alternativa economicistica, e non anche etico-politica, al capitalismo (questa è la ragione di fondo della fine di quell’esperienza?), la riflessione di Lukács ha un denominatore comune: l’uomo che pone se stesso come misura delle cose e dispone la propria individualità in una prospettiva di impegno che, non badando affatto al tornaconto personale, si ponga l’obiettivo di rapportarsi al genere per realizzare un universo di pace e di solidarietà.

Per il raggiungimento di questo obiettivo operano in simbiosi l’ateo credente dostoevskijano e l’ontologo marxista, l’etica e la rivoluzione, il legame fra il singolo individuo concreto consapevole della necessità della propria azione e la storia del genere umano, nel tentativo di superare, una volta per tutte, la fichtiana epoca della compiuta peccaminosità.
Non deve sfuggire la sostanza profondamente etica dell’antropocentrismo lukácsiano che lo conduce lontano da Kant e lo proietta nel cuore della dialettica di Marx. Infatti, la domanda cruciale alla quale Lukács risponde con la sua adesione al comunismo e al marxismo è la seguente: può il singolo, in base ad uno stimolo etico, divenire parte di una comunità, parte di un tutto? Risposta: «…l’etica si volge al singolo e come conseguenza di quest’angolatura prospetta alla coscienza morale individuale e alla coscienza della responsabilità il postulato che egli debba agire come se dalla sua azione o dalla sua inazione dipendesse il mutamento del destino del mondo» (Tattica e etica, 1919). E che il filosofo, sia come comunista sia come intellettuale marxista, abbia seguito questa etica è un fatto che fa parte di quella verità piramidalmente incontestabile di cui si scriveva prima.

In ultimo, a proposito del suo presunto stalinismo, ricordando che fu sottoposto a interrogatorio dalla polizia sovietica nel 1941, Lukács stesso, nello scritto Oltre Stalin del 1969, spiega i suoi rapporti prendendo nettamente le distanze da tutti quegli intellettuali che, accostando Stalin e il socialismo, sottoponendo a critica il primo contestualmente rigettavano il secondo, aggiungendo: «Credo di poter dire con tranquillità che fui, oggettivamente, un nemico dei metodi stalinisti, anche quando io stesso credevo di seguire Stalin».

Lukács lascia un’indicazione etico-politica, da seguire oggi, quando definisce la democrazia come essere con l’altro, o essere fra gli altri, che assume un senso in quanto l’altro (al contrario della posizione kantiana secondo la quale la libertà di un uomo è il limite alla libertà dell’altro) non è più un limite alla nostra azione bensì coopera con noi, è di aiuto e, per questo, è accolto. Insomma, la democrazia che tende al socialismo, l’essere in comune di cui scriveva Marx nel 1844.

articolo apparso su “il manifesto” del 3 giugno 2021

SCHEDA. OGGI A ROMA UN INCONTRO DEDICATO 

Oggi, 4 giugno alle 18.30, presso la libreria «Todo modo» (via Bellegra, 46 – Roma), un incontro al quale sono invitate e invitati quante e quanti vorranno esprimere un punto di vista, un pensiero oppure un semplice ricordo del filosofo. L’incontro è pensato come momento di riflessione collettiva intorno al pensiero e all’opera, oltre che alla vita, di uno dei massimi pensatori del secolo scorso, purtroppo quasi del tutto sconosciuto nel nostro Paese. Sarà disponibile il volume a cura di Lelio La Porta «Lukács chi? Dicono di lui» (Bordeaux). Il format dell’incontro ricalcherà il metodo seguito per la composizione del testo: una raccolta di voci di intellettuali, allieve ed allievi del filosofo, che, nel corso del tempo, hanno espresso il loro parere sull’opera di Lukács. Il volume, inoltre, propone una testimonianza inedita di Zoltán Mosóczi, nipote del filosofo.

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Un pensiero su “La lezione radicale di Lukács”

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