Lelio La Porta, 20.01.2021

QUESTIONI DI METODO. Per comprendere le articolazioni e «la storia di un determinato gruppo sociale», a cento anni dalla nascita del Pci 1921-2021: cento anni dalla fondazione del Pci, in realtà, all’origine, Pcd’I, sezione della Terza Internazionale fino allo scioglimento di quest’ultima nel 1943. In che modo affrontare il centenario di un Partito che non c’è più? Commemorazione di un defunto oppure celebrazione di un funerale già avvenuto? Oppure riconsiderazione, dal punto di vista storico e della memoria, di ciò che quel Partito è stato per l’Italia e per la sua storia politica, sociale e culturale? PROFLUVIO di pubblicazioni. Di nuovo polemiche, nostalgie, sentimentalismi, scontri verbali, stalinismo contro trotzskismo e viceversa, antitogliattiani contro ortodossi e viceversa, burocrazia di Partito, acquiescenza a Mosca, eccesso di centralismo democratico, comunisti italiani in odore di socialdemocrazia ma mai diventati socialdemocratici, epurazioni ed espulsioni, contaminazioni, al di là del guado; così come Sidney Sonnino, peraltro deprecabile ministro degli Esteri all’epoca della stipula, in totale segreto e spregio del Parlamento, del Patto di Londra nel 1915, scriveva di tornare allo Statuto nel 1897 per ristabilire equilibrio fra il potere esecutivo e quello legislativo, torniamo a Gramsci per ristabilire un minimo di scientificità nel contesto variegato e multiforme poco prima presentato a proposito della storia del Pci. Si farà riferimento a una voce del Dizionario gramsciano intitolata “Storia di Partito”. Nei Quaderni del carcere Gramsci si chiede quali siano i problemi da affrontare nella stesura della storia di un partito. Non si tratterà di narrare semplicemente la vita interna di quel partito, ossia come esso nasca, quali siano stati i primi gruppi a costituirlo, attraverso quali polemiche ideologiche si sia formato il suo programma politico e la sua concezione del mondo.

SE SI FACESSE QUESTO si correrebbe il serio rischio di scrivere la «storia di ristretti gruppi intellettuali» o addirittura la «biografia politica di una singola individualità». Bisogna allargare la cornice del quadro e comprendere in esso molti più elementi. Si tratterà innanzitutto di «fare la storia di una determinata massa di uomini che avrà seguito i promotori» sorreggendoli con la fiducia, la lealtà, la disciplina oppure criticandoli con realismo, cioè non seguendone alcune iniziative.
Questa massa non sarà costituita esclusivamente dagli iscritti al partito che ne seguono le attività tipiche (dai congressi alle votazioni); servirà tener presente il gruppo sociale di cui il partito è espressione: «la storia di un partito non potrà non essere la storia di un determinato gruppo sociale».
E per il gruppo sociale deve intendersi la complessa articolazione dell’insieme sociale e statale cui il gruppo appartiene; per questo «scrivere la storia di un partito significa niente altro che scrivere la storia generale di un paese da un punto di vista monografico, per porne in risalto un aspetto caratteristico». Un partito, quindi, avrà pesato nella storia del suo paese in rapporto all’attività svolta in quel paese. Se ne conclude «che dal modo di scrivere la storia di un partito risulta quale concetto si abbia di ciò che è un partito o debba essere».
Il compito dello storico, quindi, al contrario di quello del settario, sarà sottolineare quanto quel partito avrà contribuito a creare un evento e a impedire che altri si compissero. La settantennale esperienza dei comunisti italiani (1921-1991) va vista nell’ottica dello storico, attraverso la proposta dei testi più significativi dei segretari di quel Partito per verificare fino a che punto hanno «contribuito a creare un evento e a impedire che altri si compissero»; a questi testi andrebbero aggiunte testimonianze, analisi, memorie scritte e storie orali delle migliaia di militanti (i subalterni ai margini della storia, di cui scrive Gramsci, alla ricerca dell’emancipazione) per comprendere fino a che punto quel Partito abbia svolto la funzione pedagogica, e quindi egemonica, che si legge fra le righe del ragionamento di Gramsci.

INSOMMA, le polemiche hanno come loro obiettivo gli aspetti deteriori di quella storia; ma gli aspetti positivi? La demonizzazione non contribuisce alla conoscenza storica che è frutto di studio dei documenti e di contestualizzazione dei fatti: non per giustificare, ma per conoscere e comprendere.
Serve una bussola che consenta di orientarsi, con pacata ma appassionata consapevolezza dello stato presente delle cose, nella politica del Pci che ha avuto un ruolo centrale nella vita e nello sviluppo della società italiana ponendo come suo riferimento costante la Costituzione repubblicana, democratica e antifascista alla cui elaborazione contribuì in maniera notevole.

SCHEDA. Per i 100 anni del Pci una collana di testi

Futura Umanità. Associazione per la storia e la memoria del Pci, in collaborazione con gli Editori Riuniti, ha progettato una collana di testi in occasione del centesimo anniversario della fondazione del Pci. I primi due volumi sono P. Togliatti, «Il Partito Comunista Italiano» (pp. 151, euro 10) e Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer, «Essere comunisti. Il ruolo del Pci nella società italiana» (pp. 339, euro19,50). Il Partito comunista italiano è stato scritto da Togliatti su richiesta della casa editrice «Nuova Accademia» che volle realizzare una serie di saggi nella collana «Storia e funzione dei partiti politici in Italia» diretta da Raffaele Cantarella e pubblicato nel gennaio del 1958. Il testo è ripubblicato senza intervenire sull’originale se non per integrare le note dell’autore con riferimenti ad edizioni più recenti delle opere da lui citate. La scelta antologica di «Essere comunisti» è composta da testi dei segretari del Pci il cui contenuto è relativo non soltanto al problema del partito e della sua struttura ma anche all’elaborazione storica della linea politica.

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