L’attuale ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, aveva detto, poche ore dopo aver giurato sulla Costituzione di fronte al Presidente della Repubblica, che voleva farsi patrocinatore di Gramsci per condurlo nel Pantheon della destra, come già altri aveva tentato al Congresso di Fiuggi che determinò la transizione dal Msi ad Alleanza Nazionale [[1]].  Alla domanda del giornalista:

«Gramsci? Ma lei e il governo di cui fa parte non siete di destra?» il neoministro rispondeva nel modo seguente:

Può apparire sorprendente che citi il grande pensatore e politico comunista, ma nel saggio Letteratura e vita nazionale, di cui posseggo l’edizione Einaudi del 1954, egli pone il tema del ritorno a De Sanctis e si scaglia contro la filosofia della prassi, contro quelli che Gramsci stesso definisce i pappagalli che credono di possedere la verità. E io, come Gramsci, vedo in giro molti pappagalli”[[2]].

È sicuramente un bene che nella sua biblioteca il ministro abbia uno dei volumi tematici della prima edizione dei Quaderni del carcere (non sembra, però, stando anche ai successivi interventi, che sia a sua conoscenza l’edizione critica curata da Valentino Gerratana) [[3]]. Ma non si tratta di un saggio, ove per saggio si intenda uno scritto che si sviluppa intorno ad un oggetto preciso, bensì del volume tematico della prima edizione dei Quaderni, i quali, com’è noto, sono costituiti da note redatte dal comunista sardo nel carcere al quale era stato condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, organo, anche questa notizia è nota, appositamente creato dal fascismo per reprimere qualsiasi attività di opposizione al regime. Meno noto, invece, è sapere che Gramsci «fu il fondatore del Partito Comunista. Peraltro, secondo gli studi del professor Franco Lo Piparo, egli fu perseguitato dal fascismo e isolato dai suoi compagni» [[4]]. Non sapevamo che Gramsci fosse stato perseguitato dal fascismo e per averci fornito questa conoscenza ringraziamo il ministro ricordandogli che qualcosa era giunto a noi dai verbali del processo del maggio-giugno 1928, dalle biografie di Fiori, di d’Orsi e altri, così come i rapporti fra il detenuto e il suo Partito erano stati analizzati da diversi storici a cominciare da Spriano. Chiude il ministro il suo articolo-lettera, in quanto indirizzato al direttore del quotidiano milanese, diffidando della «fatua ingenuità dei pappagalli che credono di possedere in poche formulette stereotipate, la chiave per aprire tutte le porte» (Q 3, 23, 2187). Sembra proprio che Sangiuliano si riferisca a se stesso nel momento in cui prende come riferimento uno studioso che, non troppo tempo addietro, ha dato dimostrazione di un rapporto non proprio del tutto corretto, soprattutto dal punto di vista filologico, con gli scritti gramsciani arrivando alla conclusione, pubblicata sullo stesso giornale dove compare l’articolo-lettera del ministro, che il fascismo aveva creato una rete protettiva intorno a Gramsci detenendolo in cliniche fra le migliori al punto che i Quaderni potevano essere definiti Quaderni del carcere e delle cliniche [[5]].

Per quello che riguarda ulteriori riferimenti ornitologici, va ricordato che Gramsci amava i passerotti, al punto che a Turi ne vedeva in giro un paio, nella cella di detenzione, da lui nutriti, ma i pappagalli, in versione teoretico-concettuale, li usava per criticare proprio i due filosofi, e loro seguaci, che, sulla base delle indicazioni di Sangiuliano, vengono iscritti nel novero dei referenti della destra nostrana: Croce e Gentile. Prima di tornare a chiarire la questione dei pappagalli, va rilevato come il politologo Gaetano Quagliariello, che di destra se ne intende, si collochi in una posizione parzialmente alternativa rispetto a quella del ministro. In un’intervista dichiara infatti: «… culturalmente, al tempo dell’intelligenza artificiale, il controllo gramsciano dal basso è inservibile. Bisognerebbe ripartire dal confronto Croce-Gentile». E aggiunge: «Avanzo non una provocazione ma un consiglio: nel 2025 cadrà l’anniversario dei due manifesti contrapposti più importanti della nostra storia politica. Quello sul fascismo di Giovanni Gentile e quello in risposta di intellettuali tra cui Benedetto Croce, due tra i più eminenti pensatori italiani. Un lavoro tempestivo e approfondito su questa pagina rappresenterebbe l’esame di coscienza del liberalismo italiano stabilendo torti, ragioni, insufficienze e motivi della sua sconfitta nello scenario politico italiano ossia prendere le mosse dal «confronto tra Croce e Gentile, che è molto sfaccettato» [[6]].

Come dire, «unicuique suum» anche se l’esame di coscienza del liberalismo italiano nel confronto fra Croce e il filosofo del fascismo propone qualche dubbio, almeno metodico, e, in ogni caso, qualche riflessione preliminare. Infatti, intervistato da Francesco Dall’Erba il 27 ottobre del 1923 per il «Giornale d’Italia», quindi a distanza di un anno dalla marcia su Roma, Croce, temendo il pericolo di un «ritorno all’anarchia del ‘22», continuava: «Nessuno che abbia senno augura un cangiamento». E proseguiva sostenendo che tra la sua «fede liberale e l’accettazione e giustificazione del fascismo» non c’era contraddizione alcuna. Il 1° febbraio del 1924, intervistato dal «Corriere Italiano», ancora riteneva «così gran beneficio la cura a cui il fascismo aveva sottoposto l’Italia, che si dava pensiero piuttosto che la convalescente non si levasse presto di letto, a rischio di qualche grave ricaduta». Il 24 giugno del 1924, due settimane dopo il sequestro di Matteotti, il Senato fu chiamato a votare la fiducia al governo Mussolini: Croce, con Gentile, fu tra i 225 che votarono la fiducia. Pochi giorni dopo, per la precisione il 9 luglio, intervistato dal «Giornale d’Italia», il filosofo affermava:

«Abbiamo deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata. Nell’ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data. Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è condizionata al nostro beneplacito» [[7]].

Un giudizio difficilmente discutibile sull’atteggiamento del filosofo abruzzese rispetto al fascismo è stato espresso da Antonio A. Santucci: «… riguardo al fascismo l’atteggiamento di Croce si presenta in chiaroscuro. Alcuni storici hanno ad esempio evocato la sua presenza nell’aula del Senato per parlare, nel ’29, contro il Concordato, ma non per condannare dieci anni dopo le leggi razziali». E se è documentato il controllo poliziesco cui fu sottoposto, «magari nel corso di un innocuo viaggetto a Campobasso nei primi anni Trenta (…) basta questo a cancellare qualche infortunio che, data l’epoca, si fatica ad archiviare come semplice gaffe?  Celebre quello contenuto in un saggetto del ’24, dove si apprende come non possa escludersi che una “eventuale pioggia di pugni non sia, in certi casi, utilmente ed opportunamente somministrata”» [[8]]. Non a caso, a distanza, il passo crociano verrà riprodotto pure da Gramsci nei Quaderni, in impietoso parallelo col coevo discorso palermitano di Gentile sul «bastone e il pugnale» [[9]]. Eppure, concludeva Santucci, è «innegabile che Casa Croce, a Napoli, nei giorni cupi del regime, sia divenuta un crocevia dell’antifascismo europeo» [[10]]. Si tratta di fasi e di cicli, aggiungeva Santucci. Peraltro, l’atteggiamento di accondiscendenza nei confronti del fascismo venne meno, a detta dello stesso Croce, «in qualche settimana di crisi del 1925»[[11]].

Torniamo al ministro Sangiuliano che, analogamente a Gramsci, vede in giro “molti pappagalli”; vediamo altri aspetti della “questione ornitologica”. Quando Gramsci scrive di pappagalli e di psittacismo lo fa in due note dei Quaderni, oltre che nel luogo già preso in considerazione in precedenza:

La tesi XI: “I filosofi hanno soltanto variamente interpretato il mondo; si tratta ora di cangiarlo”, non può essere interpretata come un gesto di ripudio di ogni sorta di filosofia, ma solo di fastidio per i filosofi e il loro psittacismo e l’energica affermazione di una unità tra teoria e pratica. Che una tale soluzione da parte del Croce sia criticamente inefficiente si può osservare anche da ciò che, anche ammesso per ipotesi assurda che Marx volesse “soppiantare” la filosofia in genere con l’attività pratica, sarebbe da “sfoderare” l’argomento perentorio che non si può negare la filosofia se non filosofando, cioè riaffermando ciò che si era voluto negare, e lo stesso Croce, in una nota del volume Materialismo storico ed economia marxistica riconosce (aveva riconosciuto) esplicitamente come giustificata l’esigenza di costruire una filosofia della praxis posta da Antonio Labriola (Q 10 II, 31, 1270) [[12]].

Pappagalli sono quei filosofi che, secondo Marx (Tesi su Feuerbach), ripetono tesi altrui senza realizzare la necessaria unità fra teoria e prassi. Non si tratta, quindi, come sostiene Croce di ripudiare qualsivoglia filosofia anche perché negando una filosofia si starebbe comunque filosofando. Peraltro, fa presente Gramsci, lo stesso Croce aveva auspicato la costruzione di una filosofia della praxis “posta da Antonio Labriola”. Sembra proprio che, dichiarando che Gramsci “si scaglia contro la filosofia della prassi”, Sangiuliano sostenga esattamente il contrario di ciò che il comunista sardo afferma, coinvolgendo nel suo errore anche chi dovrebbe, a detta di Quagliarello, diventare la stella polare della destra convertita (o da convertire?) al liberalismo, ossia Croce.

La seconda nota nella quale Gramsci scrive di psittacismo riguarda l’attualismo e la concezione dello Stato come un’entità superiore rispetto agli individui. Gli attualisti vengono messi alla berlina in quanto così pappagalli nel ripetere la loro concezione che l’unico modo possibile per criticarli non poteva che essere la caricatura umoristica:

Per gli attualisti lo Stato finisce con l’essere proprio questo qualcosa di superiore agli individui (…). La concezione degli attualisti volgari era caduta così in basso nel puro psittacismo che l’unica critica possibile era la caricatura umoristica” (Q 11, 32, 1447) [[13]].

Anche a voler considerare con riguardo l’iniziativa di porre una targa in memoria di Gramsci presso la clinica romana Quisisana (omettendo, però, che la richiesta proviene da una raccolta di firme promossa dal «manifesto, quotidiano comunista») dove morì, per il resto, almeno fino a quanto qui scritto, argomentazioni che consentano al ministro di farne un patrimonio culturale della destra non sembra ce ne siano.

Comunque, non è stato Sangiuliano il primo a destra a tentare il reclutamento culturale di Gramsci. La cosa risale ad epoca ancora precedente le stesse tesi di Fiuggi del 1995 citate all’inizio. Comincia negli anni Settanta in Francia. L’iniziatore è il filosofo Alain De Benoist [[14]], il cosiddetto Gramsci di destra o “Gramsci nero”. Animatore della nouvelle droite francese, De Benoist scrive nel 1978 per le «Figaro Magazine» un articolo in cui spiega ai lettori francesi l’importanza attribuita da Gramsci alla “presa del potere culturale”. A partire da questa lettura, Gramsci compie un lungo percorso negli scritti di pensatori di destra fino ad arrivare, appunto, a essere un riferimento delle tesi di Fiuggi del 1995. Sull’argomento, a conferma anche della non-novità della questione in una prospettiva storica, si può leggere Michele Pistillo, Mussolini-Gramsci. La Destra alla ricerca di una identità culturale [[15]].

Nel biennio 2011-2012, fra un articolo di Marcello Veneziani intitolato Gramsci? Mussoliniano. Il leader dei comunisti era vicino al fascismo [[16]]e la risposta di Bruno Gravagnuolo, Il Gramsci di Destra? Mai esistito[[17]], vanno segnalati il contributo di Angelo d’Orsi [[18]] e la capillare ricostruzione di Guido Liguori [[19]] degli scritti dedicati a Gramsci pubblicati in quel periodo, anche per riconfermarne l’indiscutibile collocazione culturale e politica nonostante, oltre alla Destra in appropriazione indebita, anche, scriveva Liguori, «la furia autolesionista di certa sinistra ansiosa di lasciarsi alle spalle ogni aspetto della tradizione comunista».

L’invenzione di un gramscismo di destra non presenta di per sé un fatto anomalo; basta prendere la nozione di nazionale-popolare, darle una coloritura nazionalista e populista, e il più sembra essere fatto. Bisognerebbe, però, chiedere a chi si facesse protagonista di tale iniziativa anche di riconoscere un giudizio come quello che segue:

«Che cosa è il fascismo italiano? Esso è l’insurrezione dell’infimo strato della borghesia italiana, lo strato dei fannulloni, degli ignoranti, degli avventurieri, cui la guerra ha dato l’illusione di essere buoni a qualcosa e di dovere per qualche cosa contare, che il decadimento politico e morale ha portati avanti, cui la diffusa viltà ha dato fama di coraggio» [[20]].

Sarebbe imbarazzante per chi porta nel simbolo del proprio partito, che è quello nel quale milita Sangiuliano, ancora la fiamma tricolore del Msi accettare un siffatto giudizio oppure la nota descrizione che Gramsci fornisce del duce:

«…conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro feroce meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia» [[21]].

Nel decimo anniversario del suo articolo già ricordato di accostamento di Gramsci e Mussolini, Veneziani pubblicò un volume [[22]] all’interno del quale compariva un capitolo dedicato a Gramsci e intitolato Fra Lenin e Mussolini. In maniera molto esplicita l’autore si rivolgeva agli insegnanti, soprattutto a coloro che vengono da lui definiti di “formazione gramsciana” ma inconsapevoli, loro malgrado, che di essi Gramsci scriveva quanto segue: «noiosissima caterva di saputelli» [[23]] e, in più, «professori canagliuzze, insaccatori di leggiadra pula e di perle, venditori di cianfrusaglie» [[24]].

Nell’articolo del 1916 Gramsci, ricordando il suo “garzonato universitario”, si compiaceva di avere avuto insegnanti notevoli che gli avevano trasmesso la serietà e il rigore negli studi, oltre al metodo, all’applicazione nella ricerca, alla passione filologica, alla dimensione civile dell’insegnamento: «L’insegnamento, svolto in tal modo, diventa un atto di liberazione … È una lezione di modestia, che evita il formarsi della noiosissima caterva di saputelli, di quelli che credono aver dato fondo all’universo quando la loro memoria felice è riuscita a incasellare nelle sue rubriche un certo numero di date e nozioni particolari». Quindi, è esattamente il contrario di quanto Veneziani voleva far intendere nel suo libro. Così come, ancora contrariamente a quanto sostenuto nel libro, Gramsci non era per nulla contro il latino e il greco.

La seconda citazione è in realtà, nonostante sia riportata fra virgolette nel libro, un assemblaggio di frasi prese qua e là. Si tratta di un testo in cui Gramsci difende l’uso della grammatica latina dello studioso tedesco Schultz dagli attacchi di Arnaldo Monti («presidente del “Fascio studentesco per la guerra e per l’idea nazionale”»), motivati, soprattutto, dal fatto che si era in guerra contro i tedeschi e da ciò si prendeva lo spunto per criticare l’opera di un tedesco. In realtà, gli epiteti gramsciani riportati da Veneziani non sono affatto rivolti contro i docenti bensì contro Monti, «insaccatore di leggiadra pula», che, attaccando lo Schultz, vorrebbe fare dei giovani studiosi di latino degli “eleganti umanisti” quando, invece, lo studio della scuola classica, ossia quella fondata sul latino e sul greco, «deve preparare dei giovani che abbiano un cervello completo, pronto a cogliere della realtà tutti gli aspetti, abituato alla critica, all’analisi e alla sintesi».

Veneziani torna sugli stessi temi, senza alcun rispetto per i testi che cita, in parte gli stessi del libro del 2021, in un articolo intitolato Rispettiamo l’intellettuale Gramsci ma era nemico di civiltà e cultura [[25]]. Proponendo, attraverso un uso a dir poco leggiadro, i testi di Gramsci, l’autore arriva a sconfessare il ministro Sangiuliano concludendo nel modo seguente: «Rispetto umano e intellettuale per Gramsci ma non dimentichiamo che fu nemico della libertà, della civiltà e dell’identità culturale e civile italiana». Quindi Veneziani dice no, e ciò non può che rallegrarci, all’insediamento di Gramsci nel Pantheon della destra, anche se lo fa con argomentazioni che derivano da un’evidente sollecitazione dei testi «Cioè far dire ai testi, per amor di tesi, più di quanto i testi realmente dicono (…) ma la trascuratezza e l’incompetenza non meritano sanzione, almeno una sanzione intellettuale e morale se non giudiziaria?» (Q 6, 198, 838).

Anticipava gli eroici furori della destra che insegue Gramsci un’antologia pubblicata nel 2022 dalla Historica edizioni di Roma intitolata A. Gramsci, L’egemonia culturale, con introduzione di F. Giubilei, un volume assolutamente privo di serietà scientifica o critica; buon ultimo arriva di Alessandro Giuli, direttore della Fondazione MAXXI dal novembre del 2022 su nomina di Sangiuliano, Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea nel quale l’autore si spinge lungo un itinerario culturale «libertario e liberatorio», così scrive, alla ricerca della «destra che vorrei».

L’edificazione di un’egemonia culturale della destra è l’obiettivo del ministro Sangiuliano e della compagine che oggi governa l’Italia. Sembra, in realtà, la ricerca di un ubi consistam attraverso un eclettismo che pretende di tenere insieme Dante, Leopardi, Prezzolini, Gramsci e Croce, quest’ultimo come nume tutelare. Il filosofo abruzzese, come messo in evidenza in precedenza, avrà di certo avuto i suoi momenti di debolezza nei confronti del fascismo ma è innegabile che sia stato uno dei protagonisti dell’antifascismo, ossia di ciò che Sangiuliano e la destra non riconoscono e, addirittura, non pronunciano: può divenire il referente culturale di una cultura che, non definendosi apertamente antifascista, non lo vedrebbe mai schierarsi dalla sua parte? Questo vale a maggior ragione per Gramsci. Certo verrebbe il desiderio, con il poeta, di non ragionare più di costoro e guardare avanti, ma una presa di posizione è necessaria nei confronti di coloro che il comunista sardo avrebbe definito «rimasticatori di frasi» [[26]] che si trastullano alla ricerca di una dimensione intellettuale che altro non è che pura astrazione in quanto non si basa su nulla di concreto; allora tanto vale rimasticare frasi fatte e fare esercizio di psittacismo: vedere sopra!


[1] «Il patrimonio di Alleanza Nazionale è intessuto di quella cultura nazionale che ci fa essere comunque figli di Dante e di Machiavelli, di Rosmini e di Gioberti, di Mazzini e di Corradini, di Croce, di Gentile e anche di Gramsci» (27 gennaio 1995).

[2] Intervista pubblicata sul «Mattino» il 23 ottobre 2022.

[3] A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975; da questa edizione si citerà indicando il Quaderno, la nota e la pagina.

[4] G. Sangiuliano, Il politico, l’intellettuale. Antonio Gramsci e l’identità italiana, «Corriere della sera», 17/01/2024.

[5] F. Lo Piparo, Gramsci in cella e in clinica. I paradossi di una prigionia, «Corriere della sera», 29/05/2016.

[6] «Huffington Post», 9 gennaio 2024.

[7] Intervista di Croce al «Giornale d’Italia» del 9 luglio 1924 riportata da Giorgio Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Vicenza-Venezia, Neri Pozza, 1966. A proposito di quest’intervista, così si espresse Norberto Bobbio: «…deluso ma non ravveduto, [Croce] deplora ma accetta come fatto politico il delitto Matteotti, riconosce che il fascismo ha risposto a reali bisogni e ha fatto molto di buono: quanto al suo voto di fiducia in Senato, lo considera non come un voto di entusiasmo ma di dovere, e auspica il ritorno al regime liberale come unico modo di salvare il fascismo quale elemento forte e salutare della futura gara politica» (N. Bobbio, Politica e cultura, introduzione e cura di F. Sbarberi, Torino, Einaudi, 20053, p. 184; la prima edizione del testo di Bobbio è del 1955).

[8] La citazione è da Fatti politici e interpretazioni storiche in B. Croce, Cultura e vita morale, Bari, Laterza, 19262, pp. 269-270.

[9] Q6, 112, 782-783. Il discorso di Gentile a Palermo è del 31 marzo del 1924, pubblicato l’anno successivo nel volume Che cosa è il fascismo. In possesso di Gramsci in carcere risulta il volume di Gentile Fascismo e cultura, Milano, Treves, 1928.

[10] Antonio A. Santucci, Affermare la verità è una necessità politica. Scritti di Antonio Santucci, a cura di D. Giannone, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, pp. 104-105. Il riferimento ai Quaderni del carcere è relativo a Q6, 112, 782-783.

[11] Lettera a Piero Calamandrei ne «Il Ponte», ottobre 1952. Per chiarire il “consiglio” di Quagliariello va ricordato che Croce fu il redattore del cosiddetto Manifesto degli intellettuali antifascisti (il cui titolo era Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani, al manifesto degli intellettuali fascisti) pubblicato il 1° maggio del 1925 su «Il Mondo», il giornale di Giovanni Amendola, in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile e pubblicato il 21 aprile dello stesso anno.

[12] Gramsci si riferisce al seguente passo dell’opera di Croce: «Sotto quest’ aspetto (ossia restringendo l’affermazione alla dottrina della conoscenza) si potrebbe parlare col Labriola di un materialismo storico in quanto filosofia della praxis, ossia come di un modo particolare di concepire e di risolvere, anzi di superare, il problema del pensiero e dell’essere» (B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, Bari, Laterza, 1921, p. 109).

[13] Non si può omettere la parte conclusiva della nota gramsciana nella quale vengono proposte le caricature umoristiche: «Si poteva pensare una recluta che agli ufficiali arruolatori espone la teoria dello Stato superiore agli individui e domanda che lascino libera la sua persona fisica e materiale e arruolino quel tantino di qualcosa che contribuisce a costruire il qualcosa nazionale che è lo Stato. O ricordare la storia del Novellino in cui il saggio Saladino dirime la vertenza tra il rosticciere che vuol essere pagato per l’uso delle emanazioni aromatiche delle sue vivande e il mendicante che non vuol pagare: il Saladino fa pagare col tintinnio delle monete e dice al rosticciere di intascare il suono come il mendicante ha mangiato gli effluvi aromatici» (Ibidem). La novella del Novellino è intitolata Qui si determina una quistione e sententia che fu data in Alessandria.

[14] Si veda F. Germinario, La destra degli dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle Droite, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, recensito da G. Liguori, Le culture delle destre, «Critica marxista», 4/2002.

[15] «Critica Marxista», 1-2/1996, pp. 73-83.

[16] «Il Giornale», 24/10/2011.

[17] «L’Unità», 25/10/ 2011.

[18] A. d’Orsi, L’infinita scoperta di Gramsci, in F. Chiarotto, Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell’Italia del dopoguerra, Milano, Bruno Mondadori, 2011, pp. 1-21.

[19] G. Liguori, Il ritorno al futuro di Gramsci, «il manifesto», 3/3/2012.

[20] A. Gramsci, Politica fascista, «L’Ordine Nuovo», 25 maggio 1921, I, n. 144, in Id., Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo 1921-1922, Torino, Einaudi, 1974, pp. 167-168.

[21] A. Gramsci, Capo, «L’Ordine Nuovo», marzo 1924, s. III, I, n. 1; poi anche A. Gramsci, Lenin, capo rivoluzionario, «l’Unità», 6 novembre 1924, I, n. 229 in Id., La costruzione del partito comunista 1923-1924, Torino, Einaudi, 1978, p. 15.

[22] M. Veneziani, Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti, Venezia, Marsilio, 2021. Dello stesso autore va ricordato un volume precedente, La cultura della destra, Roma-Bari, Laterza, 2002; a proposito di questo libro Liguori (La cultura delle destre, cit.) scriveva che l’autore individuava nella tradizione il carattere distintivo della cultura della destra.

[23] A. Gramsci, L’Università popolare, «Avanti!», XX, n. 355, 29 dicembre 1916, Cronache torinesi, in Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, Scritti (1910-1926), 1 1910-1916, a cura di G. Guida e M. L. Righi, Roma, Treccani, 2019, pp. 804-806.

[24] A. Gramsci, Caratteri italiani: La difesa dello Schultz, «Avanti!», XXI, n. 329, 27 novembre 1917, Cronache torinesi e pagina milanese con il titolo La difesa dello Schultz, in Ivi, 2 1917, a cura di L. Rapone, con la collaborazione di M. L. Righi e il contributo di B. Garzarelli, Roma, Treccani, 2015, pp. 603-604.

[25] M. Veneziani, Rispettiamo l’intellettuale Gramsci ma era nemico di civiltà e cultura, «La verità», 18/01/2024. Si veda anche B. Gravagnuolo, Il comunista Gramsci con la destra non c’entra nulla: la sinistra difenda le sue idee antipopuliste, «strisciarossa», 18/01/2024.

[26] L’espressione ricorre due volte nei Quaderni del carcere: Q 9, 63, 1134 e Q 11, 22, 1423.

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