prima pagina dell'Unità del 18 giugno 1979

“Sostanzialmente i NAR la sigla era poco più che uno scherzo all’inizio e comunque era composta da, è difficile dirlo oggi, ma eravamo il servizio d’ordine del movimento sociale deluso dal Partito perché i nostri ragazzi morivano e il partito non faceva niente avevamo tutti anni di attivismo sulle spalle e ci siamo organizzati in un’altra maniera, veniamo da lì, nasciamo da lì, le prime 50, 60, 70 persone coinvolte venivano tutte da lì. Tant’è vero che, come ricordava l’avvocato Naso poi punto di aggregazione naturale è stata l’organizzazione universitaria del Movimento Sociale come sede fisica dei nostri primi anni di attività”

(Giuseppe Valerio Fioravanti, Deposizione davanti alla Corte di Assiste di Perugia, 8 luglio 1997, processo per l’omicidio Pecorelli, trascrizione da registrazione reperita su YouTube Canale “cornuti contenti”)

“Il concetto stesso di «piazza di destra» allargava le maglie comprendenti tutta la base militante neofascista senza distinzioni, tranne alcune rare eccezioni, tra gruppi extraparlamentari e Msi. Una prassi largamente adottata anche prima dell’avvento alla segreteria di Almirante ma che con lui alla guida del partito, in virtù della politica di riunificazione con i «fratelli separati», aveva ripreso nuovo vigore finendo per dilatare i confini dell’appartenenza al Msi e riconfigurare il concetto di “ambiente” con cui il neofascismo, fin dal 1946, si era autorappresentato. Questa modalità fluida della militanza aveva più volte consentito al partito di non subire le conseguenze politiche delle violenze perpetrate da gruppi formalmente esterni al Msi ma insieme ad esso operanti. Significativa, in questo senso, la direttiva della Direzione nazionale missina in avvio della campagna di tesseramento del 1972, che, nell’intento di porre sotto un più stretto e disciplinato controllo la base, specificò la necessità di cancellare posizioni come quella «dell’iscritto senza tessera» o di schedare gli «iscritti che non intendessero rinnovare la tessera» senza un apparente motivo (il più delle volte da ricercare nella diffusa «doppia militanza» sia nel Msi che nei gruppi extraparlamentari). Figure che fino a quel momento, evidentemente, erano state gravitanti e presenti nell’alveo del partito e che il nuovo corso almirantiano provava a riassorbire anche in funzione dello sforzo profuso con la politica della «piazza di destra»”

(Fascisti contro la democrazia: Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1946-1976, Davide Conti)

Premessa: Non temiamo querele, risposta gradita al potente di turno nei confronti di chi rammenta alcuni fatti del passato. Quello che abbiamo detto e diremo in questa serie di scritti è documentato, documentabile e spesso estratto da atti processuali, con le parole degli stessi protagonisti. Le conclusioni che ne trarremo sono quelle che qualsiasi lettore privo di pregiudizi può trarre. Quanto all’intento diffamatorio (il cosiddetto “animus infamandi”) non crediamo ce ne siano i presupposti perché i fatti parleranno da soli. Certo è che i fatti sono veri, vi è un interesse pubblico alla loro conoscenza, il linguaggio (nonostante la rabbia che le vittime covano nei confronti dei carnefici) sarà nei limiti della “continenza”.

La deposizione di Valerio Fioravanti che apre questo scritto è abbastanza chiara e basterebbe da sola a dimostrare la nostra tesi: i NAR, tutte le schegge della destra violenta ed eversiva, in quegli anni, erano ben inseriti e “nuotavano” non in mare aperto (che ne esagereremmo l’importanza numerica) ma negli stagnetti delle sezioni del Movimento Sociale Italiano e della sua organizzazione universitaria (il Fronte universitario d’azione nazionale – FUAN) di Roma.

Nella Sentenza Corte d’Assise di Roma ([1]) che ha condannato gli autori dell’attentato che stiamo ricordando ([2]) più volte viene esplicitamente affermato che i NAR erano di casa nella sede del FUAN di Via Siena (la Caravella), tant’è che la stessa corte di Assise parla esplicitamente (in più parti) di una vera e propria “banda” o “gruppo” FUAN NAR (c’è anche un gruppo NAR EUR).

Cristiano Fioravanti (fratello di Valerio nonché il più importante pentito dei NAR) a proposito della “preparazione e il movente dell’attentato riferiva che in seguito alla morte del Cecchin vi erano stati un forte fermento nell’ambiente del FUAN e discussioni animate e gravide di risentimento (“tutti cercavano il morto per vendicare la morte di Cecchin”). Di tali discussioni egli era certo o per avervi assistito o per averne avuto notizie dal Valerio, che aveva egli stesso suggerito le modalità dell’azione.”([3])

Ed ancora Patrizio Trochei, un altro pentito: “… l’attentato era stato preceduto da una riunione alla quale avevano partecipato Pedretti e Aronica, capi del gruppo gravitante presso il FUAN, la Mambro, Morsello e Di Vittorio, e altri ancora del nord, che lui non conosceva, mentre era assente Fioravanti Valerio (secondo lui allora detenuto per il furto delle bombe in provincia di Pordenone). Nella riunione, tenutasi subito dopo la notizia della morte del Cecchin al FUAN, si era deciso – su proposta del Pedretti e dell’Aronica – la rappresaglia in danno di una sez.ne del PCI, con armi e bombe a mano, che gli stessi Aronica e Pedretti avevano indicato.”([4])

Ed ancora, lo stesso Trochei: “Dell’inizio di un rinnovamento di leadership, del resto, si era già avuto un cenno […] con riguardo all’episodio dell’aggressione alla Sez.ne del PCI/Esquilino, per l’esecuzione del quale si era imposto un personaggio come Aronica Luigi sino ad allora di secondo piano nell’ambiente del FUAN, anche se tra quanti gravitavano attorno alla sez.ne del MSI/PRATI aveva goduto di una posizione di prestigio.”([5])

Del resto, la circostanza che i NAR godessero di accesso illimitato alle sezioni del MSI e del FUAN si ricava anche da diversi testi extra processuali ma che riferiscono le parole di testimoni e protagonisti.

Nel libro “Il piombo e la celtica”, Nicola Rao ([6]), ricostruisce l’ambiente del gruppo universitario La Caravella di Via Siena (quello dove si svolge la preparazione dell’attentato): “Accanto ai ragazzini terribili di Monteverde e dell’Eur prende corpo un’esperienza più politica, almeno inizialmente: quella del Fuan romano (con sede in via Siena 8), che matura di pari passo con l’esplosione del ‘77, l’avvento della Nuova Destra, la nascita dei Campi Hobbit e l’egemonia rautiana nel mondo giovanile missino attraverso la corrente di Linea Futura.  Il Fronte Universitario di Azione Nazionale, il movimento degli universitari missini, sta vivendo un momento di stanchezza, diviso e lacerato da lotte intestine e indebolito dalla scissione di novembre-dicembre del 1976 (quella di Democrazia Nazionale), che ha portato fuori dal Msi quasi tutta la dirigenza giovanile del partito. A quel punto il gruppo rautiano decide di impossessarsi anche del Fuan romano e di farne uno strumento di proselitismo nel mondo degli studenti. Il nuovo leader diventa lo studente ciociaro Biagio Cacciola, già segretario del Fronte della Gioventù di Frosinone, che dal 1974 vive e studia a Roma […] Ma accanto ai militanti e ai dirigenti storici del Fuan, in via Siena cominciano ad arrivare ragazzi più giovani e «indisciplinati», provenienti da altre zone di Roma.  De Francisci: «Dopo la fine dell’esperienza dei Volontari, alcuni di noi cominciarono a frequentare il Fuan. Quando arrivammo io e Dario Pedretti, trovammo solo Biagio Cacciola e un gruppo di studenti fuori sede: Adolfo Urso, Bruno Tagliaferri, Elio Giallombardo e Franco Corrado. Parliamo della fine 1976- inizio 1977.» […] Il movimento del ‘77 nasce, ufficialmente, sull’onda della grande mobilitazione antifascista, dopo il ferimento dentro la città universitaria – con un colpo di pistola alla nuca da parte di una squadra di fascisti – dello studente di sinistra Guido Bellachioma. I compagni indicheranno in via Siena la base di partenza del raid.  Ma Cacciola nega: «Non c’entrava il Fuan. Ci fu uno scontro tra opposte fazioni, legato al fatto che, nei giorni precedenti, c’erano state scaramucce davanti ad alcune scuole. Ma nessuno del Fuan quel giorno partecipò a questa cosa.»

De Francisci è meno… reticente: «Quel giorno, come al solito, facemmo un volantinaggio all’università e loro, come al solito, ci attaccarono. Certo, ci fu una sparatoria, uno scontro a fuoco. Ma si sparò da entrambe le parti.  E visto che Bellachioma fu colpito alle spalle, io non sarei così certo che la pallottola che lo centrò sia stata esplosa da qualcuno dei nostri.» Ma ormai le pistole circolano liberamente, anche nel Fuan. Continua Gabriele De Francisci: «[…] Dentro la Sapienza ci furono diversi scontri a fuoco in quei mesi. Loro partivano da Fisica, dove avevamo un vero e proprio deposito di armi, bastoni e caschi. Una volta che cercavamo di scappare dall’uscita di Scienze politiche, mio fratello Amedeo inciampò contro un carretto che stava in mezzo alla strada e cadde per terra. I compagni gli stavano per piombare addosso quando, nascosti dietro le colonne, un paio dei nostri, per coprirci, cominciarono a sparare. Un compagno cadde a terra colpito dagli spari.»([7])

Troviamo la ricostruzione di Rao assolutoria (in altre parti di questa serie di scritti vedremo come l’attentato sia stato molto edulcorato e narrato solo con le parole di uno degli attentatori) ma proprio per questo è indicativo, sotto l’aspetto che ci interessa, che nel libro emerga chiaro un rapporto continuo tra militanza nel Movimento Sociale e quella nelle frange estreme e violente della destra romana. Così come c’è uno scambio di militanti tra le varie sigle, si passa agevolmente da Terza Posizione, ad Avanguardia Nazionale, ai NAR, si resta nelle sedi missine e, una volta in clandestinità, spesso non si perdono i contatti, anzi.

Alcuni dei “cuori neri”, poi, non avranno necessità di entrare in clandestinità per lungo tempo.

È il caso, ad esempio, di Alessandro Alibrandi, figlio del PM Antonio Alibrandi, che diviene latitante solo nel marzo del 1980 a seguito di un mandato di cattura firmato dal giudice Mario Amato (giudice poi ammazzato vilmente da Gilberto Cavallini, con la complicità diretta di Ciavardini, Valerio Fioravanti e proprio di Alibrandi, quest’ultimo è anche “l’unico a conoscere fisicamente il magistrato, insieme a Francesca Mambro, per essere stati entrambi interrogati dal pm”([8])([9])).

Nel frattempo, Alibrandi (Alessandro), nel 1977 partecipa ad uno scontro a fuoco con la Polizia a Borgo Pio (marzo), all’omicidio di Walter Rossi (30 settembre) ([10]) ([11]), l’anno successivo, il 28 febbraio 1978, fa parte del commando che uccide in Piazza Don Bosco il militante di Lotta Continua Roberto Scialabba, il 6 marzo fa parte del commando che rapina l’armeria Centofanti (rapina in cui verrà ucciso uno dei cofondatori dei NAR, Franco Anselmi, il cui nome tornerà più avanti in questo scritto), l’anno successivo ancora, il 1979, partecipa con compiti di supporto all’assalto del 9 gennaio a Radio Città Futura, in cui vennero ferite le quattro conduttrici della trasmissione femminista Radio Donna. Non essendo abbastanza impegnato nella caccia al comunista, lo stesso Alibrandi, insieme al suo camerata Massimo Carminati ([12]) ed a Claudio Bracci ([13]), inizia i contatti con la Banda della Magliana.

Ma fino al mandato di cattura, frutto del lavoro certosino e solitario di colui che sarà poi ucciso dagli stessi NAR, il rampollo del PM Alibrandi non solo tornerà tranquillamente a dormire sotto il tetto familiare ma continuerà a frequentare le sezioni del Movimento Sociale e del FUAN.

Questa contiguità appare palese in diversi altri momenti e testimonianze.

Il già citato Franco Anselmi accompagna, il 28 maggio 1976, il deputato missino Sandro Saccucci a Sezze per un comizio. Sezze era una città profondamente antifascista e Saccucci, esponente di Ordine Nuovo e accusato di aver preso parte al tentativo di golpe Borghese, sapeva di portare una provocazione alla Città (che sarà poi insignita della medaglia d’oro al merito civile perché “gli abitanti di Sezze, rischiando la morte, protessero ebrei, aiutarono le persone a ribellarsi ai soprusi e si prodigarono per difendere le donne”([14]). Partono le contestazioni dei giovani di Sezze, i missini estraggono le pistole e sparano fuggendo dalla città. Resta a terra, ucciso, un compagno ventunenne della FGCI, Luigi Di Rosa, e viene ferito un compagno di Lotta Continua, Antonio Spirito ([15]). Per l’omicidio venne condannato solo Pietro Allatta, che accompagnava Saccucci e anche lui, ovviamente, esponente del MSI. Una ricostruzione del tutto diversa da quella che emerge dalla condanna è suggerita dal fatto che Luigi Di Rosa venne colpito da due proiettili di calibro diverso, quindi da due pistole. Il delitto si può ritenere, quindi, tuttora in parte impunito.

Curiosamente, ma forse non tanto, i nomi dei protagonisti dell’omicidio di Luigi Di Rosa, tornano nella Sentenza che condanna i fascisti dei NAR per l’attentato e proprio in relazione ad uno dei due killer che ci assalirono, Luigi Aronica ([16]) ([17]) ([18]).

Ancora, tornando all’omicidio di Walter Rossi ed alla organicità dei suoi assassini all’ambiente ed al partito, durante l’udienza del processo “per rissa” ai missini presenti alla morte di Walter Rossi, il 12 aprile 1983, Cristiano Fioravanti “indicava in Alessandro Alibrandi l’autore dei colpi di arma da fuoco che uccisero Walter Rossi, dichiara che erano giunti nel primo pomeriggio dinanzi la sez. missina con compiti di copertura e che sia lui che Alibrandi erano armati. Nella sez. era presente il segretario Sandro Di Pietro insieme ad altri missini. Dichiarò inoltre che Alibrandi aveva sparato 2 colpi indicando nel lancio di lacrimogeni della polizia l’origine delle altre detonazioni. Escludeva che altri missini fossero armati oltre lui stesso e Alibrandi. In precedenza, in una riunione tenutasi all’interno della sede missina di Monteverde vennero presi accordi con Alibrandi, Laganà e Lenaz, presente lo stesso Fioravanti, alla fine di predisporre azioni armate simili a quella avvenuta il 30 settembre 1977.”([19])

Questa ricostruzione viene riportata anche su Fascinazione.info, blog curato dal giornalista Ugo Maria Tassinari, che si dimostra, contrariamente a chi qui scrive, non ostile agli ambienti della destra estrema (come vedremo in altri scritti), a proposito dell’omicidio di Walter Rossi: “Nei giorni successivi – a partire da voci raccolte nei corridoi della questura – si scatena una campagna di stampa che individua in un missino di Monteverde, Enrico Lenaz, il killer. Ma costui può presentare un alibi robusto anche se non privo di incongruenze (il 30 settembre era in Molise con la fidanzata e i suoceri) e la pista affonda. Ad aggrovigliare la matassa si aggiungono le contraddizioni tra i numerosi testimoni sull’identikit. Il procedimento penale si conclude con l’archiviazione, nonostante le successive dichiarazioni dei pentiti (Di Manao, Trochei, Serpieri), tra le quali spicca quella di Cristiano Fioravanti. Subito dopo l’arresto, nell’aprile 1981, ammette la partecipazione, accusa Alessandro Alibrandi di aver ucciso Rossi sparando con una calibro 9, Sparti di avergli fornito una pistola 7,65 portata per l’occasione nonostante fosse un ferro vecchio e Fernando Bardi di aver custodito la Beretta 34 usata dall’omicida. Il pentito racconta ai giudici: «Sapevamo che erano imminenti nella zona della Balduina degli scontri con avversari politici, cioè i compagni di via Pomponazzi. Ci è stato detto che occorrevano delle armi.» Cristiano chiama direttamente in causa il partito: il responsabile di Monteverde aveva ordinato a Fioravanti e Alibrandi di andare alla Balduina essendo consapevole di inviare due militanti armati.

Notevoli, innumerevoli, sono gli esempi di contiguità e di osmosi tra quelli che più tardi diventeranno i NAR e il Movimento Sociale romano, nelle sue organizzazioni territoriali, anzi possiamo parlare di vera e propria organicità.

In più occasioni Valerio Fioravanti e Francesca Mambro affermano che questi protagonisti di crimini violenti, ben prima della nascita “ufficiale” dei NAR, vengono di volta in volta usati e poi “scaricati” dal partito neofascista.

È questo, a suo dire, il motivo per cui Francesca Mambro si ritrova in compagnia di Pedretti, Alibrandi, Fioravanti nel giro dei NAR, quando, a seguito dell’omicidio di Stefano Recchioni ([20]), di cui accusa un ufficiale del Carabinieri, i dirigenti del Movimento Sociale fanno di tutto per evitare la denuncia di questo ufficiale.

In realtà la deriva violenta della destra estrema, con il silenzio, se non la complicità, del Movimento Sociale data a ben prima dei fatti di cui si stiamo occupando. Come documentato nel bel libro di Davide Conti con cui si apre questo intervento ([21]) frange violente, anche molto violente, si annidavano fin dalla nascita in quel partito. Del resto, a memoria di chi scrive, il MSI è l’unico partito in cui un ex (e futuro) segretario viene fotografato sorridente accanto ai suoi mazzieri che occupano militarmente la facoltà di Giurisprudenza nel 1968 dopo aver guidato una sorta di spedizione punitiva contro il movimento studentesco che aveva occupato la vicina facoltà di Lettere([22]).

Ma i “ragazzi nazionali” non si limitavano alle sprangate ed agli scontri di piazza come vedremo.

L’intento omicidiario non è stato estraneo, anche negli anni precedenti, alla attività dei giovani del MSI, basti pensare alla vicenda personale di Giulio Salierno e al progetto di assassinare Walter Audisio, il colonnello Valerio che giustiziò Mussolini e la Petacci, maturato in quella sezione del Movimento Sociale di Colle Oppio che, abbiamo visto, è sempre stata il contraltare storico della nostra Sezione di Via Cairoli ([23]). Salierno, in una lunghissima intervista rilasciata ad Oriana Fallaci nel 1973, affermò la responsabilità di dirigenti del Movimento Sociale nel progetto di uccidere il colonnello Valerio per vendicare Mussolini e Piazzale Loreto([24])([25]).

Questo lungo contributo, che verrà completato a brevissimo da una lettura della pubblicistica sui Nuclei Armati Rivoluzionari e della Sentenza che ha chiuso la vicenda processuale dell’attentato, ha uno scopo precipuo, militante se volete (chi scrive non lo nega), insieme agli altri scritti.

Si è affermata, ad opera degli esponenti della destra di governo, una “narrazione” degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso esclusivamente in chiave di violenza politica, violenza politica che, a loro dire, è stata operata solo da sinistra e solo nei loro confronti.

Chiunque abbia vissuto quegli anni sa che questa “narrazione” è completamente falsa in entrambi i suoi connotati.

Gli anni sessanta e settanta sono stata una stagione di fervidi cambiamenti per il nostro paese. È in quegli anni che conquistammo lo Statuto dei lavoratori, il Servizio sanitario pubblico e universale, le politiche per la casa e sul piano della società è in quegli anni che conquistammo il divorzio, il diritto all’aborto, un nuovo diritto di famiglia, le basi per un nuovo rapporto tra donne e uomini, una embrionale consapevolezza ambientale. Tutto questo fu possibile soprattutto grazie ai grandi movimenti (operai, donne, giovani, studenti) che diedero l’assalto al cielo.

Non a caso conquiste che i governi di destra (e anche di centro sinistra) hanno smantellato appena possibile, allorquando i movimenti sono cessati o ridotti a mera testimonianza.

Il presentarsi come uniche vittime fa parte di questa strategia (se riduci quel ventennio a mera violenza eviti di spiegare perché dalle sezioni del MSI si usciva solo per presidiare militarmente il territorio o, come visto in queste righe, per spedizioni punitive e squadriste ma senza alcun intervento “politico” nei quartieri o nelle scuole).

La Sezione Esquilino del PCI era attiva nel quartiere, noi della FGCI stavamo nelle scuole e nel rione, tutti i giorni con lotte e progettualità che riguardavano la didattica ma anche il recupero delle zone degradate (come la lunga battaglia per lo spostamento del mercato di Piazza Vittorio o per il recupero di Piazza Manfredo Fanti in cui coinvolgemmo tanti giovani, il che significava anche sottrarli allo spaccio di droga, allora fiorente nelle strade di Esquilino).

In quelle battaglie arrivammo, noi poco più che ventenni, a confrontarci con urbanisti e architetti, funzionari del Comune, decidemmo di fare la Festa dell’Unità a Piazza Vittorio, pulendo fisicamente la piazza che era stata chiusa per decenni per i lavori della metropolitana.

Nel nostro piccolo, garantimmo (anche fisicamente) il diritto ad esercitare la democrazia nelle scuole anche contro le frange più estremiste del movimento studentesco. Con i fascisti no, con i fascisti non era possibile alcun confronto dialettico o fisico perché quelli sparavano vigliaccamente alle spalle.

La rimozione di cosa abbia significato quel ventennio in termini di liberazione e miglioramento delle condizioni di vita delle classi subalterne, consente agli attuali “neo”, “post”, “a-fascisti”, “non” o “anti-antifascisti” (e via neologizzando) di governo o meno di continuare serenamente nell’opera di smantellamento e di creare quella società più ingiusta, gerarchica, militarista, patriarcale, antilibertaria che è da oltre un secolo il loro obiettivo e la loro unica ideologia. Una vera e propria riscrittura della storia degna del Ministero della verità di Orwelliana memoria.


[1] Corte d’Assise di Roma, 2 maggio 1985, R.G.n. 43/82, n. 16/85.

[2] La Sentenza riguarda molti episodi di terrorismo compiuti dai NAR, tra cui l’attentato alla Sez. Esquilino del 16 giugno 1979

[3] Sentenza citata, pag. 130

[4] Sentenza citata, pag. 129, va precisato, ad onor del vero, che all’epoca Valerio Fioravanti era libero e, come accertato processualmente, non solo partecipò alla preparazione dell’attentato ma fornì le armi per compierlo (bombe a mano, da lui trafugate durante il servizio militare, ed una pistola Beretta 81, cal. 7,65 bifilare).

[5] Sentenza citata, pag. 184/185, questo avvicendamento avviene, secondo la Sentenza, tra il gruppo storico dei NAR, costituito dai fratelli Fioravanti, Francesca Mambro e Dario Pedretti, dopo l’arresto di quest’ultimo durante il tentativo di rapina alla gioielleria di Via Rattazzi, il 5 dicembre del 1979, quindi all’inizio degli anni Ottanta;

[6] Rao, Nicola. Il piombo e la celtica: Storie di terrorismo nero dalla guerra di strada allo spontaneismo armato (Le radici del presente). SPERLING & KUPFER

[7] Rao, Nicola. Il piombo e la celtica: Storie di terrorismo nero dalla guerra di strada allo spontaneismo armato (Le radici del presente). SPERLING & KUPFER. Edizione del Kindle.

[8] Rao, Nicola. Il piombo e la celtica. Edizione del Kindle.

[9] «E veniamo dunque a Mario Amato: sostituto procuratore della Repubblica di Roma, unico titolare di tutte le inchieste sui fuochi neri romani. Senza nessuna fonte di prima mano, «interna» all’estremismo nero, abbandonato da superiori e istituzioni, non aiutato dai servizi, il magistrato va incontro da solo al suo tragico destino. In aperta lite con il collega Antonio Alibrandi, padre di Alessandro, che lo accusa di prevenzione ideologica verso i giovani di destra, e in forte polemica con molti avvocati romani (anche loro di destra) che gli imputano una pregiudiziale verso i soliti noti dell’estrema destra romana, dal criminologo Aldo Semerari al solito Paolo Signorelli, Amato è già morto e non lo sa.» Rao, Nicola. . Il piombo e la celtica. Edizione del Kindle.

[10] In questo caso il solito Cristiano Fioravanti (pure sospettato dell’omicidio) riesce a riversare su Alibrandi la responsabilità dell’omicidio ma è certo che entrambi spararono (testimonianza di Valerio Fioravanti durante il processo per la strage di Bologna del 10 novembre 1989);

[11] Dal verbale di udienza della seconda Corte di Assise di appello di Bologna. Udienza del 10 novembre 1989.

Valerio Fioravanti, fratello di Cristiano, dichiara durante un’udienza del processo per la strage di Bologna: «Mentre stavo facendo il servizio militare, nei vari scontri romani morì Walter Rossi. A sparargli erano stati Cristiano e Alessandro Alibrandi. Questo lo ha raccontato Cristiano, non è una chiamata di correità.» Presidente «C’è stato un processo?»
Fioravanti «Sa, c’è un numero enorme di quelli che giudiziariamente andrebbero chiamati tentati omicidi che non sono mai stati perseguiti. …»
Presidente «Ma questo di Rossi è un omicidio.»
Fioravanti «Si, ma non si arrivò da nessuna parte perchè in realtà la pistola era una e se la passavano l’un l’altro, ed è finita che Cristiano è riuscito ad attribuire il colpo mortale ad Alessandro, Alessandro è morto e il processo è finito lì.»
Presidente «Quindi si è fatto un processo»
Fioravanti «No, non s’è fatto perchè Alibrandi è morto. Mio fratello è stato inquisito, ma la questione è ricaduta su Alibrandi che non era più in grado di rispondere. Questo fu il primo attribuibile al nostro gruppo, anche se arrivava dopo reiterati tentativi di farlo. Questo, detto un po’ cinicamente, è riuscito, ma era già stato tentato, c’erano stati diversi accoltellamenti.» in “A mano armata” di Giovanni Bianconi, edizioni Baldini & Castoldi, 1996 – pag. 73

[12] Se il nome non vi è nuovo è proprio il Carminati della Banda della Magliana, assurto alle cronache nazionali con lo scandalo di “mafia capitale” ma con una lunghissima storia criminale alle spalle.

[13] Claudio Bracci, figura apparentemente minore dei NAR, è in realtà uno dei “pontieri” tra la galassia dei NAR, Terza Posizione, ecc. e la malavita romana, condannato (nella stessa Sentenza NAR 1 che riguarda l’attentato) per due rapine, associazione sovversiva e banda armata, venne anche indagato per l’omicidio a Milano di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci (Iaio) due militanti del Centro Sociale Leoncavallo di Milano avvenuto il 18 marzo 1978. Ad onor del vero e di verità processuale per questo delitto la sua posizione (come quella di Carminati e Mario Corsi) venne archiviata nel 2000 dal Giudice delle Udienze Preliminari a causa della natura indiziaria degli elementi di colpevolezza.

[14] Motivazione per la concessione dell’onorificenza del 12 luglio 2022.

[15] Sempre per rispetto delle verità processuali, va detto che la Corte di Cassazione ha assolto in via definitiva Saccucci dall’accusa di concorso in omicidio, in quanto la morte di Di Rosa sarebbe avvenuta dopo che il missino aveva lasciato Sezze. Una ricostruzione diversa da quella processuale può essere però trovata sulla rivista locale on line “La notizia condivisa” all’indirizzo https://www.lanotiziacondivisa.it/index.php/rubriche/noidiscuola/item/695-luigi-di-rosa-un-delitto-impunito.

[16] Sentenza citata pag. 219 : “Presso l’Aronica e il Conti venivano recuperati del materiale per la pulizia delle armi e documentazione di propaganda eversiva. In particolare, presso l’Aronica veniva rinvenuta una lettera datata 16.11.77, destinata allo stesso Aronica da Sandro Saccucci, proveniente dalla Spagna, ove l’ex deputato del MSI – protagonista dei disordini avvenuti qualche anno prima a Sezze Romano, in seguito ai quali era stato ucciso un giovane ventenne dell’area di sinistra da colpi di pistola esplosi dal militante del MSI, Allatta Benito – era espatriato per sottrarsi alla cattura (cfr.fg. 52/55 cartella 1, vol.1 atti gen.)

[17] Sentenza citata pag. 420: “Militanza della quale egli, in sostanza, non ha fatto mistero riconoscendo nell’interrogatorio al dibattimento i suoi rapporti, risalenti al 1977/78, con Allatta Pietro e Sandro Saccucci (il primo menzionato nella lettera citata), perseguiti per l’omicidio di un giovane militante della sinistra durante dei disordini seguiti a un comizio del MSI a Sezze Romano.

Militanza maturata, come si è accennato a par.fo 15 della esposizione, attraverso la leadership nel gruppo MSI/Prati e poi nel gruppo eversivo del FUAN, nel quale, a partire dall’episodio dell’assalto alla sez.no del PCI/Esquilino di via Cairoli, andava assumendo una funzione di massima rilevanza dirigenziale, dimostrata inequivocabilmente dalla sequenza degli episodi criminosi dei quali si rendeva responsabile, e dei quali il presente è emblematico. Esso invero si muove , come reso palese dalla rivendicazione NAR riportata per esteso, nella linea politica eversiva perseguita dal gruppo FUAN, e mirava al contempo a rinnovare e arricchire la dotazione di armi, della quale i reperti di “Piave est” e di Castelnuovo di Porto dimostrano la dovizia e la pericolosità.”

[18] Sentenza citata pag. 498: “Aronica Luigi, militante dell’area sovversiva di destra sin dal 1978 con un ruolo dirigenziale nel gruppo facente capo al MSI/Prati, ha preso parte attiva al FUAN – essendo vicino al Pedretti – come dimostra la sua partecipazione all’episodio di guerriglia urbana di Centocelle. A partire dalla vicenda dell’assalto alla sez.ne del PCI/Esquilino di via Cairoli (16.6.79) principiava a svolgere un ruolo decisionale e quindi direttivo – come riferito dal Trochei-, ruolo nel quale si affermerà poco dopo, sottraendo le armi dei Fioravanti dal deposito del Testani, organizzando, tramite il Braghetta il deposito di Castelnuovo di Porto e promuovendo e dirigendo l’attività delinquenziale del gruppo FUAN, dopo l’arresto di Pedretti e l’allontanamento del Fioravanti Valerio. Significativi i suoi rapporti con Saccucci Sandro e Allatta Pietro. Risponde del reato sub capo 2 come contestatogli.

[19] Dossier sull’omicidio di Walter Rossi, “Un ricordo senza pace” a cura della associazione Walter Rossi, pag. 33.

[20] Avvenuto il 7 gennaio 1978 durante gli scontri tra neofascisti e Carabinieri dopo la strage di Acca Larentia.

[21] Davide Conti, Fascisti contro la democrazia: Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1946-1976,  Einaudi, Torino, 2023.

[22]Una scena immortalata dalla celebre foto di Almirante che ride sulla scalinata della facoltà di Giurisprudenza (da dove partì l’assalto) mentre è attorniato dai fascisti che brandiscono mazze e oggetti contundenti. Una scena inimmaginabile per qualsiasi altro segretario di partito o esponente di primo piano democristiano, comunista, socialista o liberale che fosse. Una prassi fascista che richiamava le radici del Msi e che nei giorni precedenti e successivi l’aggressione era stata più volte rivendicata dalle pagine de «Il Secolo d’Italia» da tutto il vertice del partito, con i richiami all’intervento delle «forze sane della gioventù nazionale» che avrebbero detto «basta con gli stracci rossi» issando al loro posto «il tricolore all’università»” (D. Conti, cit., Edizione del Kindle).

[23] Chi scrive ha avuto diverse frequentazioni con Giulio Salierno, come molti dei militanti della sezione Esquilino. Giulio Salierno dopo la grazia ottenuta negli anni Sessanta è divenuto un importante sociologo, in carcere aveva studiato e si era avvicinato al marxismo. Per diversi anni, frequentò la Sezione del PCI senza mai richiedere l’iscrizione che, peraltro, visti i precedenti e le rigide regole di iscrizione al Partito, probabilmente, gli sarebbe stata rifiutata. Non è questa la sede per ripercorrere la vicenda umana e politica di Giulio Salierno che è stata recentemente ripubblicata: G. Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Minimum fax, Roma, 2024.

[24] “Di uccidere Audisio, nel Msi se ne parlava fin dal 1948. Nel 1953, il progetto venne ripreso in seguito a un’osservazione del generalissimo Franco. Un gruppo di dirigenti del Msi si era recato in Spagna ed era stato ricevuto da Franco. Nel corso del colloquio Franco aveva chiesto: «Com’è che i fascisti italiani non hanno ancora eliminato l’assassino di Mussolini?» Imbarazzati, essi avevano risposto che preferivano tenerlo in Parlamento per screditare il Parlamento stesso. E Franco aveva ribattuto con un sorriso divertito: «Che machiavellici questi italiani». Ma il gruppo dei dirigenti era tornato a Roma con la certezza d’aver perso la faccia. Da tale certezza era nata la decisione di far fuori Audisio […] Il giustiziere prescelto fui io. Uscii dal partito ed immediatamente dopo ebbe inizio lo studio dell’attentato. Per settimane e per mesi gli attivisti seguirono Walter Audisio segnando l’ora in cui usciva di casa, l’ora in cui arrivava alla Camera, l’ora in cui rientrava a casa. Il tragitto che faceva, la targa dell’automobile. Tutto. Li sottoposero a quei dirigenti e a me: insieme concludemmo che il luogo migliore era dinanzi a casa. Poi studiammo l’arma da usare e scegliemmo il fucile automatico […] perché era un’arma da guerra e con essa l’attentato avrebbe avuto il tono di un’esecuzione.

[…] Avrei sparato da un’automobile ferma. Mi sarei accertato di averlo ucciso e poi mi sarei allontanato guidando con fretta non eccessiva. Avrei abbandonato l’automobile in un punto stabilito e, poi, a bordo di un’altra, avrei raggiunto l’aeroporto militare per fuggire in Spagna con un aereo militare ai comandi di un ufficiale pilota in servizio […] Giunto in Spagna, avrei dovuto assumermi la responsabilità dell’uccisione, fornendo le mie vere generalità e dichiarandomi un militante dell’estrema destra uscito dal Msi.”. Testo dell’intervista della Fallaci a Salierno come riportata in N. Rao, cit., Edizione del Kindle.

[25] Per un elenco delle attività eversive nate all’interno del movimento neofascista si può proficuamente leggere “Dodicesima disposizione – Fascismo e neofascismo: conoscerli per combatterli”, curato da Raul Mordenti per Dip. Antifascismo del Partito della Rifondazione Comunista, Bordeaux, Roma, 2023. Peraltro l’elenco ivi contenuto non è completo in quanto, ad esempio, l’attentato che ricordiamo con questa serie di contributi non è in elenco, mentre è citato l’assalto a Radio Città Futura di qualche mese prima con gli stessi protagonisti. Se, invece, si vuole approfondire il tema della violenza politica in generale, nel ventennio tra il 1969 e 1988, rinviamo ai due poderosi volumi “Venti anni di Violenza politica in Italia”, Shaerf, De Lutiis, Sili, Carlucci, Bellucci, Argentini, ISODARCO (International School on Disarmament and Research on Conflicts, Italian Pugwash Group), Roma, Università degli studi La Sapienza, Centro stampa d’Ateneo, 1992, fuori catalogo ma reperibile nel sistema SAN, https://www.memoria.san.beniculturali.it/it/w/venti-anni-di-violenza-politica-in-italia-1969-1988-a-cura-di-isodarco-1992-

Di Roberto Del Fiacco

Libero professionista, consulente tributario, esperto nell'economia dei servizi comunali di raccolta rifiuti. Si illude di essere ancora iscritto al Partito Comunista Italiano e alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (quelli veri). E' nato e morirà comunista

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