Gli ottanta anni trascorsi dalla “svolta di Salerno” meritano qualche approfondimento. A ricordarsi di questo evento iniziale della rivoluzione democratica è stata solo l’Associazione “Futura umanità” presieduta da Alexander Höbel con un convegno svoltosi a Napoli sabato 25 maggio. Il fatto che la celebrazione degli ottanta anni di quello storico evento sia passato pressoché sotto silenzio la dice lunga sui tempi miserrimi in cui siamo immersi e dello stato altrettanto miserrimo in cui versa la politica italiana. Palmiro Togliatti fu l’innegabile architetto della “svolta”. Come ebbe a definirlo Pietro Nenni egli fu “l’unico veggente in un regno di ciechi”. La nota che segue vuole essere solo un contributo nella direzione dell’approfondimento di un momento decisivo per la rifondazione di una nuova Italia democratica.

Stalin non aveva accolto bene la sua esclusione dal processo armistiziale degli Alleati angloamericani con l’Italia. Il 25 agosto del ’43 aveva detto a Churchill e Roosevelt che non avrebbe fatto la parte “dell’osservatore passivo”. È però innegabile che ogni volta che era dovuto intervenire sulla questione italiana non aveva messo in discussione il governo Badoglio. Così era stato a settembre, dopo l’armistizio, quando aveva sostenuto una posizione di appoggio alla monarchia di Churchill differente da quella di Roosevelt, chiedendo solo che l’Italia dichiarasse guerra alla Germania. Alla Conferenza di Mosca del mese dopo, il compromesso che il dittatore sovietico aveva accettato, era stato chiaro: rafforzamento del governo in carica tramite l’inclusione in esso dei rappresentanti dei partiti antifascisti. In seguito aveva autorizzato i contatti con le autorità italiane per sondare le possibilità di una ripresa delle relazioni diplomatiche. Un compromesso però che gli inglesi di Churchill non si erano certo affrettati a mettere in pratica.

Il 14 e il 18 febbraio ’44 Stalin era stato informato da Vyšinskij della missione in Italia: delle avances di Prunas, degli orientamenti e delle posizioni delle forze politiche e, probabilmente, delle valutazioni di Vyšinskij medesimo di rispondere all’esclusivismo inglese con una radicalizzazione delle posizioni dei comunisti italiani in funzione antimonarchica e antibadogliana. Anche utilizzando le differenze fra inglesi e americani che continuavano a permanere circa l’opportunità di sostenere i due “vecchi signori” come Roosevelt chiamava Badoglio e il re Vittorio Emanuele.

Valutazioni che, trasmesse a Molotov e comunicate a Dimitrov, avevano portato Ercoli (Togliatti) a redigere il documento “sui compiti dei comunisti italiani” che ribaltava la la sua posizione sostenuta nei mesi precedenti. Il documento fu ricevuto da Molotov il 1 marzo con l’allegata richiesta di incontro da parte di Ercoli. Il 26 febbraio era giunto a Stalin il telegramma di Badoglio che auspicava la ripresa delle relazioni diplomatiche. Occorreva prendere una decisione definitiva e questa, come al solito, era prerogativa del capo sovietico. Stalin evidentemente scartò, che gli fu prospettata, l’opzione radicale e conflittuale di Vyšinskij, mantenendo ferma la scelta di riconoscere una preminenza inglese sull’Italia, e più in generale angloamericana e rigettò anche la possibilità di acuire sui problemi in questione i contrasti fra Churchill e Roosevelt – che sapeva non essere insanabili – perché ciò avrebbe potuto turbare lo sforzo alleato alla vigilia dell’apertura del secondo fronte che era la cosa a cui teneva di più in quel momento.

Pensò, quindi, di contrastare l’esclusivismo inglese rispondendo positivamente alla richiesta di Badoglio della ripresa delle relazioni diplomatiche alla quale dette subito corso. Infatti il sostituto di Vishinskij, Bogomolov, fece sapere il 4 marzo al governo italiano che l’Urss era pronta al riconoscimento diplomatico. Da ciò si evince che Stalin ritenne opportuno – o lo ritenne Molotov, non sappiamo – incontrare Togliatti proprio perché si era già presa questa decisione e si voleva coordinare l’iniziativa diplomatica con la politica che si apprestava a fare Ercoli in Italia. Stalin arrivò, perciò, all’incontro notturno con Togliatti svoltosi la notte successiva con un orientamento preciso che consentiva al capo dei comunisti italiani di riprendere la politica da lui perseguita nei mesi precedenti e di mettere da parte l’opzione radicale elaborata per impulso di Vyšinskij e di alcuni ambienti del ministero degli Esteri.

Togliatti arrivò a quell’incontro sì con il documento del 1 marzo da lui redatto in cui si accoglievano le posizioni antibadogliane suggerite da Vyšinskij, ma quella non era la sua politica come si evince dalle numerose e quasi quotidiane trasmissioni di “radio Milano libertà”. Da quel colloquio – di cui non abbiamo verbali ma solo le notizie che “Ercoli” diede a Dimitrov che le annotò nel suo diario il 5 marzo precedute da una telefonata informativa di Molotov – uscì un ribaltamento: “I comunisti sono pronti persino a partecipare a un governo senza l’abdicazione del re, a condizione che questo governo si attivi nel condurre la guerra per la cacciata dei tedeschi dal Paese, che realizzi i sette punti della Conferenza di Mosca, e che lo stesso re accetti di convocare dopo la guerra una Assemblea costituente alla quale spetti la decisione finale sulla questione della monarchia e del futuro regime del Paese”.

In quell’incontro notturno fra il 4 e il 5 marzo che Togliatti aveva chiesto a Molotov ai primi di marzo prima di partire per l’Italia, e che poi si trovò a fare con Stalin che era considerato ed era il capo supremo non solo dell’Urss ma del comunismo mondiale, non fu quello dello scolaretto che va a prendere ordini dal Capo, come sostenuto da tanti denigratori del segretario del Pci, ma neanche di quello che convince Stalin a prendere la strada da lui più perseguita e propugnata nei suoi discorsi da radio “Milano Libertà”.

La “svolta di Salerno” fu certo frutto del sacco togliattiano ma Stalin non fece certo da osservatore statico. Non confaceva né al suo ruolo né al suo carattere. Scelse, con il riconoscimento diplomatico del governo Badoglio, di fare politica in una zona, l’Italia, considerata di competenza militare, politica e amministrativa degli angloamericani.

Su questo “fare politica”, già auspicato da Togliatti, che i due si incontrarono sapendo reciprocamente quali erano tra loro le gerarchie.

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